Quel pasticciaccio del Csm a Roma
Vladimiro Zagrebelsky
Il Consiglio di Stato ha confermato la sentenza del Tribunale amministrativo che ha annullato la nomina del procuratore della Repubblica di Roma deliberata dal Consiglio superiore della magistratura. Il Consiglio di Stato ha rilevato vizi tali da determinare l’annullamento della nomina effettuata dal Csm. Si tratta di vizi di procedura, per l’irregolarità della proposta che la Commissione competente fece al plenum del Consiglio modificando senza motivazione una sua precedente proposta, e di vizi di merito per una comparazione tra i candidati che il Consiglio di Stato ha ritenuto viziata da difetto di motivazione. Il Consiglio di Stato ha cura di precisare che non ha inteso sostituire la propria valutazione a quella del Csm, ma ha rivendicato la propria competenza di giudice degli atti amministrativi nel rilevare irragionevolezza, difetto di motivazione, arbitrarietà. In questo quadro di principi che derivano dalle regole dello Stato di diritto, in cui anche l’amministrazione pubblica è soggetta alla legge e al controllo del giudice, la vicenda specifica si segnala per il contesto in cui si inserisce.
Di per sé un simile annullamento non costituisce una novità. Si potrebbe semplicemente dire che il Consiglio di Stato è lì per questo, che gli atti della pubblica amministrazione (di cui il Consiglio superiore della magistratura è parte) dovrebbero essere sempre esenti da vizi, ma che quando questi vizi esistano è bene che vi sia un giudice cui ricorrere. Ma la vicenda nel suo complesso è particolare e, per fortuna, non usuale. Perché la Commissione del Csm competente per formulare le proposte sull’attribuzione degli incarichi direttivi negli uffici giudiziari – proposte sulle quali poi deve esprimersi il plenum del Consiglio – in questo caso ritornò sui propri passi e modificò la sua prima proposta dopo che emersero notizie di traffici tra alcuni componenti del Consiglio e due parlamentari per influire sulla decisione del Consiglio. Circostanza certamente grave e fonte di possibile inquinamento, ma non tale da incidere sul profilo professionale dei candidati che dovevano essere valutati e comparati. Ora il Consiglio dovrà riprendere da capo la procedura, prima di tutto con il riesame delle candidature nella Commissione, per la formulazione della proposta da sottoporre al plenum. Naturalmente il Consiglio dovrà evitare i difetti rilevati dal Consiglio di Stato. E qui si pone un problema generale, che riguarda la discrezionalità che è propria nell’agire del Consiglio.
La Costituzione prevede che il Csm sia composto da due terzi di magistrati, eletti da tutti i magistrati, e da un terzo di avvocati o professori eletti dal Parlamento. Una simile composizione si spiega soltanto con il carattere delle delibere del Consiglio e non avrebbe senso se esse fossero strettamente vincolate da rigidi criteri. La elezione dei componenti magistrati riflette diversità di orientamenti, che sono presenti nella magistratura, così come la elezione dei componenti laici, che strettamente segue le indicazioni dei partiti presenti in Parlamento.
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