Quel pasticciaccio del Csm a Roma
Se si trattasse di calcolare punteggi e di tirar le somme non ci sarebbe bisogno di ricorrere a una simile istituzione, che è invece destinata a valutare e scegliere. E a farlo prima di tutto in considerazione dell’interesse pubblico, senza ledere le legittime aspettative di singoli. Dovrebbe quindi essere riconosciuta al Consiglio una larga discrezionalità in una serie di sue competenze, tra le quali la scelta dei dirigenti degli uffici giudiziari. Ma poiché tra larga discrezionalità e abuso il confine può essere evanescente, ecco che la qualità della motivazione è essenziale. Essa però è talora difficile, con non poche ipocrisie argomentative, derivanti da una serie di criteri, indici, elementi da considerare e mettere in comparazione, con un risultato che può essere più o meno persuasivo, ma non pretendere di essere indiscutibile. La massa di regole e regolette indicate dalla legge e ancor più che si è date lo stesso Consiglio superiore della magistratura per guidare, costringere, limitare, annullare la discrezionalità delle scelte è il terreno fertile di inevitabili giudizi di insufficiente o discutibile motivazione. Il terreno su cui si esercita il giudizio del Consiglio di Stato, che non vuole sostituirsi al Consiglio, ma certo si fonda su valutazioni comparative a loro volta opinabili: come è proprio della discrezionalità. Quale rimedio? Liberare le scelte discrezionali da tanti lacci e lacciuoli? Potrebbe essere la via da seguire, ma discrezionalità e credibilità di chi la esercita vanno a braccetto. Crescono o diminuiscono, vivono o cadono insieme.
LA STAMPA
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