Giovannini: “Ponte sullo Stretto, evitare i pregiudizi non chiuderemo i porti”
Non bisogna però dimenticarsi delle linee locali, dei treni dei pendolari, quanti sono i soldi previsti dal Piano?
«Abbiamo
stanziato 25 miliardi sulle ferrovie, di cui 10 sull’alta velocità
salerno-reggio e Brescia-Padova. Ma parallelamente, anche grazie al
fondo complementare collegato al PNRR, è previsto un investimento senza
precedenti sulle linee regionali, con un potenziamento della flotta dei
treni, aumentando le linee elettrificate e, in alcuni casi,
sperimentando nuove tecnologie come l’idrogeno prodotto da fonti
rinnovabili. Ma dove non puoi portare l’alta velocità, devi intervenire
per collegare le aree interne: ci sono 300 milioni per strade
provinciali in tali aree. Altro capitolo, finanziato con 8 miliardi,
quello per il rinnovamento del trasporto pubblico locale, cui si sommano
3,6 miliardi per metropolitane e altri trasporti rapidi di massa».
L’orizzonte
di questo PNRR è di 5 anni, la durata media di un’opera pubblica in
Italia è di circa 10 anni: come si tengono insieme queste tempistiche? È
un piano faraonico che rischia di non venire attuato in tempo?
«Pensa che siamo stati così disattenti
da inserire nel Piano opere che non abbiano passato analisi di rischio e
di fattibilità in 5 anni? È chiaro che per il lotto della linea
ferroviaria ad alta velocità da Battipaglia in giù ci sono rischi
maggiori rispetto a dove basta realizzare pochi chilometri di linea per
collegare un aeroporto. Per questo, oltre alle norme di semplificazione,
abbiamo fatto programmi per scelte di attuazione che possono
contribuire a tagliare i tempi. Il gioco è diverso rispetto al passato,
stavolta sono i tempi prestabiliti a guidare il processo, non
viceversa».
Un discorso che vale per tutte le 58 opere commissariate?
«C’è
un cronoprogramma definito e pronto per la pubblicazione sul sito del
ministero. Va detto, però, che molte di quelle opere non sono già
cantierabili, ma in fase di studio di fattibilità o di progetto
esecutivo. Noi abbiamo incontrato i commissari e creato una struttura di
supporto, per condividere le buone pratiche e velocizzare le
operazioni. I cantieri aperti entro quest’anno saranno una ventina,
l’anno prossimo una cinquantina e ulteriori 37 nel 2023. Tutte le opere
saranno divise in fasi, con un monitoraggio stretto per prevenire rischi
di blocco».
Facendo i conti
con la burocrazia, la scarsa capacità progettuale degli enti locali e il
pericolo corruzione sempre presente. Sono problemi atavici del nostro
Paese, perché dovremmo riuscire?
«Per
almeno tre ragioni. È previsto un potenziamento delle risorse umane
nelle stazioni appaltanti e nelle commissioni dei ministeri che si
occupano di autorizzazioni e valutazioni di impatto ambientale o di
sicurezza delle opere: ci saranno assunzioni per questi ruoli. Poi si
tratterà non solo di velocizzare le singole procedure e le fasi dei
progetti, ma di realizzarle in parallelo, invece che in sequenza. Infine
ricordo che ci sono tempi prefissati, è la data di conclusione
dell’opera che guida il processo di selezione e realizzazione».
A
proposito di tempi, quando si concluderà la vicenda Autostrade, con il
passaggio alla cordata guidata da Cassa Depositi e Prestiti?
«La
relazione del consiglio di amministrazione di Atlantia, preparata in
vista dell’assemblea dei soci di fine mese, definisce tutti gli aspetti
della transazione. Come già stabilito dal precedente governo, aspettiamo
la decisione di Atlantia per passare poi alla firma del nuovo piano
economico-finanziario».
Ma la famiglia Benetton resta o no in campo?
«È una questione che stanno discutendo i privati, il governo deve lasciare che siano loro a definire una transazione adeguata».
Altro dossier arrivato al redde rationem, il bubbone di Alitalia: come va a finire?
«Il
governo lavora perché finisca bene, con un vettore nazionale in grado
di competere sul mercato e poi eventualmente di fare accordi, nel quadro
di un trasporto aereo in profonda crisi. Certo, non vogliamo che tra
qualche anno ci si possa ritrovare in una condizione di debolezza. E non
trascuriamo le implicazioni sociali, quella degli esuberi è una partita
complessa in mano al ministro Orlando: ci sono professionalità
eccellenti, un capitale umano che non deve essere perso».
Non
deve essere perso nemmeno il capitale del Recovery: il sistema Italia è
consapevole del fatto che, se non siamo bravi a concretizzare, quei
soldi non arrivano?
«Credo che il
sistema Italia non solo sia consapevole, ma che sia capace di
realizzare questa sfida. E non parlo solo del settore pubblico: il PNRR è
una straordinaria occasione di crescita per le imprese, che devono
svolgere il loro ruolo e recuperare i ritardi in alcuni ambiti, come la
mobilità sostenibile. Il Recovery non è fatto solo di fondi e di
riforme, ma delle indicazioni sull’Italia che vogliamo da qui a 10
anni».
Per tutte le categorie che patiscono le conseguenze di questa crisi state facendo abbastanza?
«Il
decreto Sostegni bis, il secondo provvedimento in tre mesi di governo,
sarà un passo molto importante. Ma, come ha spiegato Draghi, il vero
sostegno è la ripresa, è la creazione di occupazione. Ci sono settori,
come le costruzioni, in cui i posti di lavoro stanno aumentando. Questa
crisi ha portato una profonda trasformazione, bisogna guardare i dati
disaggregati: tante imprese manifatturiere hanno reagito alla crisi,
altre, soprattutto nel terziario sono in difficoltà».
Draghi e questo governo durano fino al 2023?
«Ha già risposto il premier, posso dirle che questo tema non riguarda i ministri, perché tutto quello di cui abbiamo parlato finora ha a che fare con il tempo e nessuno si sta risparmiando pensando che ci possa essere un secondo o un terzo tempo.
LA STAMPA
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