Quarant’anni fa l’attentato a Wojtyla. Che mondo sarebbe stato senza di lui?

Mimmo Muolo

Quarant’anni dopo sarà ancora a Roma. Per celebrare questa mattina la Messa sulla tomba di san Giovanni Paolo II, in occasione del quarantennale dell’attentato. Ma per il cardinale Stanislaw Dziwisz quei momenti sono incisi in maniera indelebile nella memoria e nel cuore. E ad ascoltarli dalla sua viva voce, i particolari sembra di riviverli in presa diretta. Come se fossimo su quella jeep negli attimi immediatamente posteriori agli spari.

«Continuo ancora a sentire il suo corpo scivolare come paralizzato e cadere tra le mie braccia – dice il porporato, segretario personale del Papa fino alla sua morte, che quel giorno come sempre gli era accanto –. Vedo il suo sangue colare sulla sua bianca veste pontificia, macchiando le mie mani e i miei vestiti. Sento anche una continua sempre più debole ripetizione dell’invocazione: “O Maria, o Madre mia!”. Da quel giorno so ormai cosa abbia sentito l’apostolo Giovanni sostenendo sulle sue braccia il corpo di Cristo tolto dalla croce».

Un’immagine potente, che si riflette nello sguardo ancora velato di sofferenza di don Stanislao, come in quegli anni veniva affettuosamente chiamato da tutti. Oggi il cardinale Dziwisz ha 82 anni, dal 2016 ha lasciato la guida della diocesi di Cracovia, dopo aver ospitato nell’estate di quell’anno la Gmg e la visita di papa Francesco. Ma quando lo incontri è facile cogliere nelle sue parole che di tutti i momenti passati accanto al Papa ora santo, quelli del 13 maggio 1981 sono stati quelli che hanno maggiormente inciso nella sua esperienza di uomo, di consacrato e di cristiano.

«Non potrò mai dimenticare – confida – il rumore dei colpi di pistola dell’attentatore, che in un solo momento avrebbero potuto porre termine a quello straordinario pontificato».

E naturalmente ripassano davanti ai suoi occhi, altre immagini. «La terribile gara col tempo per non perdere la sua vita», quando da piazza san Pietro l’ambulanza con il papa gravemente ferito a bordo si inerpicò sulla collina di Monte Mario per raggiungere il Gemelli.

«Ricordo i dottori – continua il cardinale Dziwisz –, il personale medico e tutti i servizi e le persone la cui collaborazione permise la salvezza di san Giovanni Paolo II». E non può passare in secondo piano quella grande catena di preghiera che unì tutto il mondo, a partire da Roma e dalla Polonia. In particolare «la Marcia Bianca di Cracovia – dice il cardinale – e tutte le altre iniziative intraprese sino ai confini della terra per la salvezza del Santo Padre».

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