L’inflazione non fa paura
A questo punto si aprono due scenari. Il primo è quello in cui, dopo la fiammata nel primo quadrimestre di quest’anno, i prezzi rallentano via via che la domanda, dopo il rimbalzo post Covid (ammesso che ne siamo usciti), torna a crescere a ritmi più normali. Il secondo è quello in cui l’inflazione resta persistentemente alta, nel contesto di politiche fiscali e monetarie troppo espansive. Il primo scenario resta quello più probabile (il tasso di disoccupazione negli Stati Uniti è ancora al 6 per cento, moderando le spinte inflazionistiche), ma il primo non è certo da escludere.
Se il secondo scenario si realizzasse, quali sarebbero i rischi per il nostro paese? Si potrebbe dire: che ci importa un po’ più di inflazione? Restiamo su livelli ben più bassi di quelli a cui eravamo abituati prima dell’euro! E, fra l’altro, l’inflazione da noi è inferiore a quella dell’area euro (0,9 per cento nel primo quadrimestre di quest’anno). Il problema però non è la nostra inflazione. Il problema è la possibilità che la Bce debba aumentare i tassi di interesse per raffreddare l’inflazione nell’area euro. I falchi tedeschi (alcuni media parlano già di iperinflazione) sono stati per ora contenuti.
Ma sempre nei primi quattro mesi di quest’anno, l’inflazione in Germania ha viaggiato a un tasso annualizzato dell’8 per cento (proprio come negli Stati Uniti). La Bce ha come compito di tenere l’inflazione al di sotto del 2 per cento. Conscia delle conseguenze che un aumento prematuro dei tassi di interesse avrebbe sugli equilibri dell’area euro, eviterà di reagire a temporanei aumenti dell’inflazione (e, qualche scettico direbbe, potrebbe persino ritardare un inevitabile intervento per paura che il sistema finanziario e l’economia reale, molto indebitata sia nel pubblico sia nel privato, non regga a un aumento dei tassi di interesse). Ma non potrà evitare un aumento dei tassi di interesse e una revisione della propria politica di acquisti di titoli di stato se i segnali di una ripresa dell’inflazione fossero evidenti.
Purtroppo, per un paese come il nostro che si avvia verso un rapporto tra debito pubblico e Pil del 160 per cento, se i tassi di interesse aumentassero prima che il nostro paese abbia almeno iniziato le riforme necessarie per porre la nostra crescita economica di lungo termine su basi solide l’impatto sarebbe pesante, soprattutto in termini di possibili reazioni di mercato. Il rischio di un aumento dell’inflazione rende quindi ancora più necessaria la realizzazione delle riforme per rilanciare la crescita, senza ritardi.
LA STAMPA
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