Giuseppe Conte e il tesoro di Acqua Marcia. Ecco la vera storia

di Vittorio Malagutti e Carlo Tecce

Via del Babuino a Roma, galleria d’arte Benucci, dicembre del 2012. La voce di Adele che accompagna il video fa perdonare la videocamera tremula. Il filmato amatoriale indugia su tre uomini che ridono e si danno affettuose pacche sulle spalle. Quello al centro in completo scuro, che parla gesticolando, si chiama Fabrizio Di Marzio, un magistrato che da poco ha lasciato il tribunale fallimentare di Roma per approdare alla Corte di Cassazione e, soprattutto, è l’autore dei quadri appesi alle pareti dei saloni affollati di gente. Quello a destra, che un po’ imbarazzato offre lo sguardo all’obiettivo, è Fabrizio Centofanti, imprenditore di sé stesso e lobbista del gruppo Acqua Marcia del finanziere Francesco Bellavista Caltagirone. Originario di Artena, campagna romana, Centofanti fu ragazzo prodigio di militanza missina, poi ufficiale dell’esercito per i rapporti con i media e alla Croce Rossa nella stagione di Maurizio Scelli. Anni dopo, nel febbraio del 2018, verrà arrestato con plurime accuse di frode fiscale, corruzione giudiziaria, associazione a delinquere, cioè le inchieste che hanno macchiato l’onore della magistratura, provocato la radiazione del pm Luca Palamara e squarciato il mondo oscuro del faccendiere Piero Amara. Il video dura sei minuti e per una trentina di secondi si sofferma sul magistrato pittore e i suoi due ospiti. Quello col ciuffo e la riga in mezzo, ripreso di profilo, è Giuseppe Conte, avvocato, professore, allievo prediletto del maestro civilista Guido Alpa e futuro presidente del Consiglio.

Conte, Centofanti e Di Marzio, tre amici in galleria

«Abbastanza vicina per iniziare una guerra. Tutto quello che ho è qui sul pavimento», sussurra Adele in “Turning Tables”. Quel pomeriggio di vernissage di otto anni fa un sacco di cose non erano ancora accadute a Centofanti, Di Marzio e Conte e a tanti loro amici. Il ginepraio di nomi, posti e soldi illustrato in questa inchiesta giornalistica è necessario per chiarire, attraverso fonti aperte e riservate, quello che il plurinquisito, condannato e aspirante “pentito” Amara ha riversato in più verbali ai pubblici ministeri di Milano, un materiale ambiguo che è diventato incandescente e fascicolo d’indagine con i magistrati che si accusano a vicenda.

Nella sua fluviale deposizione Amara – come scoperto dal quotidiano “Domani” – ha riferito che Michele Vietti, allora vicepresidente del Consiglio superiore della magistratura, nel 2012 gli raccomandò Conte per imporlo come consulente legale di Acqua Marcia affinché il gruppo di Bellavista Caltagirone, in grave crisi, ottenesse il concordato dal tribunale di Roma. E poi ha svelato la presenza di una fantomatica loggia massonica denominata Ungheria a cui erano affiliati avvocati, magistrati e giudici. La nostra ricostruzione dimostra che già nel 2012 c’era con certezza un rapporto diretto fra il lobbista Centofanti e il legale Conte e che, con altrettanta certezza, esisteva una comitiva di professionisti che ha fatto carriera assieme. Di questa comitiva era parte, da illustre gregario, anche il due volte premier e nuovo capo dei Cinque Stelle.

TRACOLLO E FATTURATI
Il racconto di Amara ruota attorno all’agonia del gruppo Acqua Marcia di Bellavista Caltagirone fra il 2012 e il 2013. Sui conti pesavano debiti per oltre un miliardo di euro e le banche, da tempo in allarme, avevano interrotto i negoziati per il salvataggio di Acqua Marcia quando ai primi di marzo del 2012 il patron Bellavista Caltagirone fu arrestato per un’accusa da cui poi verrà assolto, quella di truffa ai danni dello Stato nella costruzione del porto turistico di Imperia.

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