L’egemonia culturale del grillismo
Ma la vera egemonia culturale degli ultimi trent’anni è stata però quella dell’antipolitica, partita dalla magistratura, cantata dai giornali, sposata dai partiti sopravvissuti e nuovi, che hanno sentito l’obbligo di essere antipolitici per marcare la distanza con la partitocrazia della Prima repubblica. Si è cominciato con la sciagurata abolizione dell’immunità parlamentare, è proseguita con l’erosione costante del finanziamento pubblico, ha assunto toni parodistici con l’arrivo di Beppe Grillo, la sua guerra ai vitalizi (che andavano semplicemente razionalizzati), agli emolumenti, a qualsiasi utilità stabilisse che un parlamentare non è un cittadino qualsiasi, ma il rappresentate degli interessi dei cittadini. Però anche la parodia ha vinto, e lo si è visto in questi giorni, all’uscita della notizia che Mario Draghi non riceve compensi per il suo lavoro da presidente del Consiglio. Come ha giustamente sottolineato il Foglio, Draghi non aveva intenti pubblicitari, e infatti non ne ha fatto pubblicità, e nemmeno ne ha poi spiegato le ragioni. Ma l’intero arco costituzionale ha organizzato la ola, grillescamente, nell’idea che la retribuzione, per un servitore dello Stato, sia qualcosa di losco. Lavorare gratis: ecco la frontiera virtuosa della psicotica contemporaneità politica.
E così, proprio mentre vanno per avvocati su questioni di soldi con la Casaleggio, proprio mentre completano il più rapido e spettacolare ribaltamento di ogni presupposto, sublimato dall’accorato sostegno al governo dell’ex presidente della Banca centrale europea, e proprio mentre si dissolvono nelle loro puerili contraddizioni, anche i grillini possono rivendicare il piccolo trionfo della loro piccina egemonia culturale.
L’HUFFPOST
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