Cambio di passo. L’effetto Draghi ora si vede

di DAVIDE NITROSI

Dopo i fuochi d’artificio dei mercati alla nascita del governo Draghi, in febbraio, c’eravamo dimenticati che stava cominciando una rivoluzione di velluto per il nostro Paese. Placato l’entusiasmo degli osservatori esterni, toccava a noi giudicare. L’uomo non è una rockstar che sale sul palco e alza il volume della musica per farsi notare. Assomiglia piuttosto a un direttore d’orchestra attento allo spartito, capace di imporre senza essere ruvido le sfumature degli archi o l’intensità dei fiati. Una sinfonia senza sbavature. Draghi in questi tre mesi ha fatto Draghi. Ha tessuto, cucito, recuperato, motivato. Con il passo lento, ma costante e meticoloso, di chi cammina in montagna.

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Non siamo ancora in vetta, ma di sicuro procediamo più spediti di prima. Per dire: 20 milioni di italiani sono stati vaccinati, uno su tre. Con l’aumentare del ritmo delle iniezioni è crollato il numero dei malati di Covid. La macchina procede, grazie all’arrivo di milioni di fiale, ma anche grazie alla capacità organizzativa messa in campo. Draghi non ha criticato nessuno, non ha puntato il dito sulla gestione Arcuri con le imbarazzanti e costose Primule. Fa parte dello stile, così come il coraggio di svoltare. Nell’ora più buia, il premier ha fatto suo il motto di Churchill: non sempre cambiare equivale a migliorare, ma per migliorare bisogna cambiare. Ecco così che ha mobilitato l’Esercito affidando il coordinamento della campagna al generale Figliuolo, ha coinvolto la Protezione civile inspiegabilmente lasciata in panchina prima, al posto delle Primule sono spuntati gli hub, ben più efficaci. Senza enfasi, senza promettere miracoli, senza recriminazioni e polemiche. Inutile accusare i predecessori: Draghi non ha bisogno di cercare voti alle prossime elezioni. Sa che sarà valutato solo sui fatti.

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