Le convergenze parallele del governo Draghi

Marco Follini

Draghi fa finta che i partiti non ci siano. Segue il suo programma, ascolta con cortesia consigli e indicazioni di cui non tiene gran conto, evita di dare un peso eccessivo allo sventolio delle “bandierine” piantate qua e là dalle forze politiche. I partiti a loro volta fanno finta che Draghi sia il loro agente all’Avana, il premier che si regge sul loro voto e dunque è chiamato a tradurre in leggi le loro volontà politiche, pena la crisi.

Sono, appunto, due finzioni. A fin di bene, s’intende. Infatti, se Draghi prendesse troppo sul serio richieste e manovre dei partiti che lo sostengono rischierebbe di perdere il filo del suo programma (una parte del quale non è politicamente negoziabile). E se i partiti dovessero confidare a se stessi e ai propri cari che la loro capacità di condizionamento dell’agenda di governo è pari a zero, o poco più, le spinte centrifughe al loro interno finirebbero per moltiplicarsi. Così, l’uno mostra di dipendere da partiti sui quali comanda, e gli altri mostrano di signoreggiare su un’agenda di governo che è fuori dalla loro potestà. Sono le “convergenze parallele” dei nostri giorni. Il problema è che prima o poi queste due parallele finiranno davvero per convergere, e a quel punto il sistema di equilibri (e di equivoci) su cui si fonda il nostro assetto di governo potrebbe andare in pezzi. Accadrà quando si dovrà scegliere un capo dello Stato che non metta troppo a soqquadro il quadro politico. Oppure quando si dovrà decidere se votare a scadenza, nel 2023, o magari un anno prima.

Arrivati a quel punto si dovrà per forza di cose cambiare copione. E dunque i partiti dovranno riprendere in mano le redini del governo. O il premier dovrà prendere in mano l’agenda politica. Sarà la fine delle finzioni e l’inizio della contesa. E vi arriverà per primo chi avrà l’idea più chiara sul percorso che si dovrà intraprendere di lì in avanti. Il reciproco galateo tra Draghi e i “suoi” partiti lascia per ora a tutti un largo margine di equivoco. Il premier ragiona come se i partiti condividessero fino in fondo, “whatever it takes”, la sua agenda. E a loro volta i partiti ragionano come se Draghi prima o poi potesse diventare la disciplinata conseguenza delle loro opposte strategie.

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