I bambini testimoni d’accusa
di ROBERTO GIARDINA
La foto è una foto di cronaca, e subito si avverte: è un’immagine che resterà nella storia, come molte altre di bambini, diventati simbolo di una tragedia, una sciagura, una guerra. Tecnicamente non è perfetta, non lo sono mai le foto vere. La perfezione le renderebbe fredde, lontane. Una guardia civil (di nome Juan Francisco) solleva tra le mani che appaiono enormi un neonato, fragile, di appena due mesi, quasi un bambolotto. Sarà lui, il piccolo, per sempre il testimone per gli ottomila disperati che hanno cercato di varcare la barriera tra il Marocco e l’enclave spagnola.
Forse sarà identificato, forse no, i nomi hanno poca importanza, e sono retorici i commenti di chi siano i colpevoli, i genitori che lo trascinano in una fuga pericolosa, i marocchini, gli spagnoli, noi tutti? È giusto pubblicarla? Non è una nostra esclusiva, non è uno scoop come si dice in gergo, non serve a vendere una sola copia in più. L’Osservatore Romano giorni fa si è giustificato per la foto di due bambini di Gaza feriti su una barella: “Pubblicarla è stata una scelta sofferta“. Prima il giornale aveva deciso di no, ha cambiato idea dopo le parole di Papa Francesco. Una lodevole pietosa esitazione, ma hanno compiuto la scelta giusta.
Il piccolo di Ceuta è stato salvato, la guardia civil Juan Francisco potrebbe essere suo padre, e non è un eroe. Solo un essere umano. E torna in mente la foto del piccolo annegato su una spiaggia dell’Egeo, l’estate del 2015. Era Aylan Kurdi, siriano di tre anni. Doveva essere censurata per pietà? Forse grazie a Aylan, in settembre Frau Merkel aprì le frontiere per accogliere un milione di fuggiaschi.
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