La scelta di aiutarsi

di Carlo Verdelli

La scelta di aiutarsi

Il presidente Mattarella in un ritratto di Fabio SIroni

Adesso che sembra quasi finita col virus, adesso che siamo inebriati dall’idea che tutto torni come prima senza badare troppo a come saremo poi, adesso che ci sarebbe da ricostruire un Paese dopo il brutale finimondo del Covid, ancora una volta è stato un bambino a fare la domanda giusta. Seduto al primo banco di una scuola elementare di Roma, intitolata al tenero topo Geronimo Stilton, candidamente ha chiesto: «Mi chiamo Alessio e vorrei sapere qual è secondo lei la cosa migliore che possiamo fare per l’Italia. Grazie».

Il suo interlocutore, Sergio Mattarella, gli ha indicato la strada più semplice, che spesso è il contrario di quella più facile: «Di solito agli alunni si raccomanda di studiare. Vero, giusto. Ma io voglio dirvi che, oggi, la cosa più importante è un’altra: aiutarsi. Se qualcuno ha un problema con una materia, se ha difficoltà a camminare, se è rimasto indietro: aiutarsi vicendevolmente rende migliore la propria vita e quella degli altri. In questo anno di pandemia lo abbiamo imparato ancora una volta. C’è stato tanto bisogno dei medici, degli infermieri, delle persone che sono rimaste a lavorare nei supermercati, di chi conduceva gli autobus per potersi muovere e così via. Quando ci si aiuta, si vive meglio: questa è probabilmente la prima cosa che potete fare. Da adulti a volte ce lo si dimentica, non ci si aiuta abbastanza, e si vive peggio».

Il presidente della nostra Repubblica parlava ai piccoli nella speranza, forse, che anche i grandi intendessero. E i grandi sono il governo, i partiti, le associazioni di categoria, le istituzioni, i poteri forti e quelli furbi, tutti coloro insomma che reggono i fili di un Paese alle prese con una prova di portata storica. Che cosa possiamo fare per l’Italia del dopo tunnel? Come ce la immaginiamo, questa Italia che verrà, afflitta da un debito pubblico insostenibile, imprigionata da nodi cruciali irrisolti (dal fisco alla giustizia, per finire o cominciare dall’ambiente), ma beneficiata da un tesoretto europeo che ci offrirà l’occasione di recuperare il troppo tempo perduto, e non solo per colpa del Covid?

Il contrario dell’«aiutare» evocato da Mattarella non è ostacolare o contrastare. Il vero opposto è ignorare, trascurare, disfarsi del carico delle disuguaglianze invece di farsene carico. La differenza cruciale la fa l’indifferenza. Non si tratta di essere buoni, nel senso cattolico del termine, ma coscienti e responsabili, questo sì, che le scelte di questi mesi disegneranno il tipo di Paese che abiteremo per i prossimi decenni. E questo vale per le questioni nazionali ma anche per gli scenari più vasti, dove l’influenza che abbiamo riconquistato con la guida di Mario Draghi può giocare ruoli decisivi in partite altrettanto decisive. Il fatto che una parte di mondo, per lo più africana, sia ancora a zero vaccini, come documentato da questo giornale, è una disparità preoccupante dal punto di vista sanitario e angosciante da quello umanitario. La foto del neonato marocchino salvato nel mare di Ceuta da un sub della Guardia civile spagnola («ho visto spuntare la testolina e ho pensato a una bambola») è soltanto l’ultima sconvolgente istantanea di una tragedia senza fine e senza confini, di fronte alla quale il nostro Continente si gioca la patente di democrazia, oltre a quella di civiltà. E noi dobbiamo avere voce in capitolo, se non altro per la posizione geografica da primo sbarco che occupiamo. Tra pretendere un’effettiva strategia comune di gestione e di accoglienza e fingere di non vedere, c’è di mezzo, appunto, il mare. Essere un partner di rilievo della comunità internazionale significa anche spendere qualcosa di più del cauto riserbo riguardo all’incendio che ha devastato le residue speranze di un qualche accordo nella striscia di Gaza. L’America di Biden, dopo 11 giorni di fuoco e di morte, ha chiesto e ottenuto da Netanyahu «una riduzione del conflitto, che porti a una tregua». Partecipare alla costruzione di ponti, per quanto fragili e pericolanti, è certamente più in linea con la politica dell’aiutare rispetto a una presenza marginale sullo sfondo. Ogni energia spesa per un più di pace è un’energia spesa bene. E rinnovabile.

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