I partiti in cerca di sindaci

i Aldo Cazzullo

I partiti in cerca di sindaci

Tra i mestieri che gli italiani non vogliono più fare, oltre a raccogliere pomodori sotto il sole cocente o alzarsi prima dell’alba per fare il parmigiano, c’è anche amministrare le città. Non soltanto è dura far venire un idraulico; è ancora più difficile trovare un sindaco. Eppure ci fu un tempo, non tanto remoto, in cui i capi di partito andavano a fare i sindaci, e i sindaci diventavano capi di partito. Al culmine del discredito del sistema, l’elezione diretta dei sindaci (1993) aprì una stagione di nuove speranze. Riavvicinò i cittadini alla politica. Favorì il ricambio, e lanciò personaggi nuovi.

Molti erano giovani parlamentari, che avevano però già una gavetta alle spalle. Alcuni tornano ora in pista, a venti e talora trent’anni di distanza. Qualcuno si propone, come Antonio Bassolino a Napoli. Qualcun altro recalcitra, come Gabriele Albertini a Milano. Altri veterani, come Guido Bertolaso, vengono pregati di scendere in campo a Roma. Resta un’enorme questione irrisolta, a destra come a sinistra: la selezione della classe dirigente. Dopo anni in cui il principale criterio è stata la mediocrità, in cui i parlamentari sono stati selezionati all’incontrario, in base alla (presunta) fedeltà e non al talento, i partiti si ritrovano clamorosamente a corto di personalità credibili, dotate di un minimo di radicamento popolare. E dalla società civile esitano a farsi avanti imprenditori, professori, manager: timorosi di finire in galera o comunque sotto inchiesta alla prima firma.

A questo impasse generale si aggiungono gli psicodrammi locali. La destra fatica a proporre soluzioni per Milano, la città dove sono nati leghismo e berlusconismo, e che leghisti e berlusconiani hanno governato a lungo. Anche a Roma la destra non ha ancora un candidato, mentre la sinistra (campo cui ormai appartengono i grillini) ne ha tre, destinati a elidersi a vicenda. Un problema soprattutto per il Pd, in crisi anche nelle due uniche metropoli italiane che la destra finora non ha mai conquistato: Napoli e Torino. A Torino in particolare, città cruciale nella storia d’Italia e oggi abbastanza dimenticata, si profila per la sinistra una sconfitta storica.

Senza rievocare i tempi in cui i capi del partito comunista erano torinesi di nascita o di formazione — Gramsci, Togliatti, Longo, Pajetta, Secchia, Terracini, giù giù sino a Occhetto e Fassino —, negli scorsi decenni Torino era stata un laboratorio di alleanze tra quel che restava della classe operaia e la borghesia intellettuale, tra Mirafiori e il Politecnico.
Ora, all’evidenza, non è più così. Oltre le difficoltà dei vari partiti, oltre la storia delle singole città, c’è un dato comune: in Italia i migliori non vogliono più fare politica.

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