100 giorni di Draghi

Fabio Martini

ROMA. La storia è iniziata con la scoperta di due cassetti vuoti. È domenica 14 febbraio, i ministri del governo Draghi hanno giurato il giorno prima e il nuovo presidente del Consiglio parla al telefono con Paolo Gentiloni. Il Commissario agli Affari economici della Ue confessa lo stato dell’arte sul Recovery plan: «Sulla qualità delle riforme e anche sulle procedure di attuazione, la strada da fare è tanta….». Il messaggio è chiaro: le premesse del Piano ci sono, ma sui due punti decisivi per attivare i fondi di Bruxelles – riforme strutturali e cronoprogramma – di fatto siamo all’anno zero.

In quelle stesse ore lo staff della Presidenza setaccia carte e file, ma scopre che, a parte le futuribili primule di Arcuri, un piano organico per i vaccini non esiste. Di quelle due premature scoperte Mario Draghi non parlerà mai in pubblico, ma la storia del suo governo è iniziata da quei vuoti: i successivi cento giorni, la cui ricorrenza cade il 24 maggio, sono stati dedicati quasi unicamente nel rincorrere le due grandi emergenze: il Covid e il Pil. Una rincorsa all’insegna del «whatever it takes», parola d’ordine che il presidente è stato attento a non inflazionare, anche se il «costi quel che costi» è diventato un mantra per collaboratori e ministri: nei primi tre mesi il volto imperturbabile e le battute sulfuree di Mario Draghi hanno coperto ansie, accelerazioni, assilli, dubbi. Mai trapelati all’esterno, ma sempre vigili.

I primi cento giorni di ogni governo sono spesso occasione per consuntivi rituali e disconnessi dal “prototipo” (i poderosi primi tre mesi del 1933 del presidente americano Franklin Delano Roosevelt), eppure nel caso dell’esecutivo Draghi proprio la corsa contro il tempo è diventata “il” mantra. Era stato bruciante anche l’incarico di formare il governo, conferito la sera del 3 febbraio dal Capo dello Stato: gli azionisti della precedente maggioranza – Giuseppe Conte e Nicola Zingaretti – non avevano visto arrivare il “treno” e nelle prime ore erano restati in silenzio. Dopo il giuramento del 13 febbraio il governo Draghi si aggiudica un record originale: esprime la terza diversa maggioranza in una stessa legislatura. Mai accaduto nella storia della Repubblica e neppure nella storia delle democrazie occidentali. Per contentare i partiti che ne fanno parte (5 Stelle, Lega, Forza Italia, Pd, Italia Viva, Leu) Draghi allenta i cordoni: i ministri sono 22. Due in più del Conte 2, quattro in più del Monti, sei in più del Renzi: assieme al governo Letta, quello di Draghi è l’esecutivo più affollato dell’ultimo decennio.

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