Aspettando un Joe Biden all’italiana
Poche parole, ma benedette. Ma a maggior ragione, allora, viene da chiedersi perché la “tassa di scopo” sulle successioni immaginata da Letta per finanziare una “Dote ai 18enni” debba essere liquidata come una follia da Gosplan sovietico. E non invece una seria ipotesi di lavoro, sulla quale discutere senza pregiudizi culturali o manicheismi partitici. Enrico Letta ha avuto una ragione e un torto. Il torto sta nell’aver lanciato un sasso nello stagno in modo quasi estemporaneo, senza inquadrare l’idea in un disegno organico di riforma del fisco. La ragione sta però nell’aver formulato una proposta forte, divisiva ma innovativa, che non è il riflesso della solita vecchia sinistra “tassa e spendi”: qui non c’è l’ennesimo balzello, che serve a finanziare spesa improduttiva, ma l’aumento di un’imposta che già esiste (con l’aliquota al 4 per cento più bassa d’Europa) e che serve a pagare un sostegno iniziale ai giovani. Lo schema può piacere o non piacere, ma ha comunque il pregio di allargare l’orizzonte, delineando un’altra idea dell’Italia e un altro modello di società, come nel caso dello ius soli e del voto ai 16enni. Chi, anche dall’interno, usa il “benaltrismo” e accusa il segretario del Pd di vivere su Marte, deve mettersi d’accordo con se stesso. L’accusa ricorrente alla sinistra, in questi anni, non è stata quella di aver consumato la sua vena politico-culturale nel puro “governismo” e nella gestione del potere quotidiano, senza più la capacità e la voglia di riscrivere valori e ideali di una grande comunità di destino, inclusiva e solidale? Certo, Letta ha il problema di ridefinire l’identità del suo partito, e di stabilire con chiarezza qual è la sua constituency elettorale, qual è la sua base sociale e a quali nuovi ceti vuole parlare. Ma se per recuperare uno straccio di vocazione maggioritaria cerca anche di ricostruire il rapporto “sentimentale” interrotto con la sua gente, mentre partecipa a un governo chiamato a gestire l’emergenza pandemica e quella economica, probabilmente fa la cosa giusta.
Anche Draghi ha avuto una ragione e un torto. La ragione sta nell’aver detto “non ne abbiamo mai parlato”, e comunque questi sono temi che vanno affrontati all’interno di un riordino complessivo del sistema tributario. Il torto sta nell’aver obiettato che questo “non è il momento di prendere, ma semmai di dare soldi ai cittadini”. Principio giusto nella teoria, sbagliato nella pratica. Al contrario del luogo comune che domina la scena da quando la pandemia ci ha devastato cuori e portafogli, non siamo tutti sulla stessa barca. È la tempesta è la stessa, ma le barche sulle quali la affrontiamo sono totalmente diverse. Secondo l’Istat l’effetto Covid ha fatto precipitare in povertà assoluta oltre 2 milioni di famiglie e 5,6 milioni di individui. Secondo Bankitalia nei primi sei mesi del 2020, al netto dei sussidi, l’indice Gini sulle disuguaglianze è cresciuto del 4%, mentre era cresciuto “solo” di 3,1 punti nei cinque anni successivi alla Grande Recessione del 2007. Ma mentre da un lato l’agente patogeno produce tanta macelleria sociale, colpendo senza pietà la “neo-plebe di massa” fatta di anziani indigenti e 50enni usciti dal lavoro, donne con figli e 25enni precari, dall’altro lato arricchisce un pezzo di società già agiata di suo. Secondo il Censis, 1 milione 486 mila italiani possiedono una ricchezza superiore al milione, mentre il 3 per cento della popolazione possiede il 34 per cento della ricchezza totale.
È sbagliato urlare “anche i ricchi piangano”, come fece Bertinotti nel 2008: va combattuta la povertà e non la ricchezza. Ma è giusto sostenere “anche i ricchi aiutino”, come sta dicendo Biden, come prova a dire Letta e come dovrebbero dire tutte le persone di qualunque fede politica e di normale buonsenso. È forse più interessante il piano leghista sulla Flat Tax, regressiva e distorsiva, che accentuerebbe le iniquità, costerebbe 50 miliardi e senza coperture farebbe saltare il banco? Siamo seri. Che poi le grandi riforme fiscali le possa fare questo governo di “unità nazionale” solo apparente, sgangherato e litigioso proprio sull’asse Letta-Salvini, è tutt’altro discorso. È molto probabile che non ci riesca. Ma proprio per questo – immaginando un dopo-Draghi che prima o poi arriverà, Quirinale o non Quirinale – la politica ha il dovere di ripensare se stessa, in termini di contenuti e non solo di contenitori. Possiamo seguire la rotta indicata da un grande liberale come Luigi Einaudi: “L’imposta di successione grava sui patrimoni che ognuno ha avuto la fortuna di ereditare senza merito alcuno, favorendo così l’uguaglianza dei punti di partenza e quindi delle opportunità tra gli individui”. Oppure seguire il consiglio di un grande comico come Ettore Petrolini: “Bisogna prendere il denaro dove si trova, cioè presso i poveri: hanno poco, ma sono in tanti”. A noi la scelta.
LA STAMPA
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