Corvi, dossier, soffiate: i mali eterni della giustizia e la memoria di Falcone
Francesco La Licata
Del giudice Giovanni Falcone portiamo, scolpita nel cuore e nella memoria, un’immagine indelebile di tre anni precedente alla sua tragica sorte. Era il giugno del 1989 e Cosa nostra aveva appena tentato di liberarsi del più irriducibile ed efficiente dei magistrati antimafia. Gli artificieri dei boss avevano affidato a 75 candelotti di esplosivo, lasciati sulla scogliera della casa al mare dell’Addaura, le speranze di potersi liberare del magistrato che, fino a quel momento, era stato l’ostacolo insormontabile al tentativo di rinascita di una Cosa nostra seriamente messa in crisi e minata al proprio interno dal virus del pentitismo abilmente inoculato da Falcone attraverso il suo “patto” con Tommaso Buscetta.
L’attentato fallito
Falcone, quel 22 giugno, il giorno seguente all’attentato fallito, sembrava un animale in gabbia, andava su e giù in continuazione alla ricerca di un filo che gli potesse offrire una chiave interpretativa di ciò che gli si stava muovendo attorno. Recriminava contro quelli che si erano già affrettati a sentenziare che quello non era un vero attentato (perché «la mafia non sbaglia mai» ) e aprivano la strada alle maldicenze che avrebbero insinuato il dubbio che quel tritolo «se l’era messo lui» a fini di carriera. Chi disse e scrisse tali infamie evidentemente non aveva avuto modo di vederlo, quel Falcone spaventato. Dormiva per terra, su un materasso “francescano” proprio per poter stare scomodo e quindi con le difese ben attive. E, per la prima volta, si fece vedere con un revolver in mano. Già, perché in quel momento Falcone aveva avuto la percezione netta che «tutto era cambiato» ed era entrato «nel gioco grande». Laddove per «gioco grande» era da intendersi la «saldatura» fra piani criminali, politici e grandi affari internazionali protetti anche da interessi governativi. Si lasciò sfuggire persino un riferimento, prontamente rientrato, sull’imprudenza che lo aveva spinto ad accettare un colloquio privato con l’allora presidente Usa, George Bush sr. Per non parlare della ormai famosa annotazione sulle «menti raffinatissime» che stavano dietro ai suoi nemici con la coppola.
Le battaglie nel Csm
Sono passati più di trent’anni da allora, dalle battaglie che Falcone (e il pool antimafia) aveva dovuto affrontare al semplice scopo di poter espletare la sua funzione di giudice indipendente. Battaglie che lo avevano visto impattare non solo sulle organizzazioni criminali, ma anche su pezzi di istituzioni, anche interne alla stessa magistratura.
Battaglie avversate da interessi capaci di schierare sul terreno la forza della politica, dei ministeri e persino della cultura. In questo lungo braccio di ferro fummo spettatori di uno sconcertante intreccio, spesso incomprensibile per i ruoli invertiti, assunti da protagonisti e comparse, che mischiavano le carte a favore della confusione. Qualcosa di molto simile al “teatrino” cui stiamo assistendo, a tanti anni di distanza, nelle recenti vicende che si dipanano dal palcoscenico del Consiglio superiore della Magistratura. Cambiano i personaggi, ma il sistema sembra sempre quello e persino ripetitivi appaiono i fatti e misfatti che vanno in scena. Certo, allora non c’erano i trojan, né le intercettazioni, ma c’erano le lettere anonime, i dossier, le soffiate ai giornali, le false notizie. Ci furono le lettere del Corvo contro Falcone e il pool, le accuse false sull’uso improprio e criminale dei pentiti addirittura, secondo l’anonimo, usati “politicamente” e lasciati liberi di poter fare giustizia privata nei confronti dei loro nemici. E, come adesso, si infiammava il dibattito sulla magistratura «troppo indipendente», sull’uso politico delle indagini e sulla «necessità di riformare» sia la giustizia (magari assoggettando la magistratura all’Esecutivo) che l’Organo di autogoverno dei giudici. Sono passati tre decenni, sono accadute cose impensabili, sono cadute la prima e la seconda Repubblica, ma il Consiglio superiore è rimasto lo stesso ammalato di collateralismo, che ha regolato incarichi e carriere dei magistrati in una consultazione costante con le forze politiche per legge rappresentate al proprio interno.
Pages: 1 2