“Via il codice degli appalti usiamo le regole europee ora una tassa su Amazon”

Senatore, il Recovery snellisce le procedure sugli appalti. Gli imprenditori sono felici, i sindacati furibondi.

«Che le snellisca è una fortuna, che i sindacati siano furibondi non direi. Lo sono alcuni. Ma a essere felici saranno gli operai, perché lavoreranno di più».

In che condizioni?

«Nelle stesse condizioni che ci sono state per la costruzione del ponte Morandi. Una grande opera fatta in fretta, a regola d’arte, senza incidenti, senza tangenti e senza problemi. In questo dobbiamo seguire l’Europa».

Colpo di scena. Dopo Draghi, l’Europa.

«La via d’uscita finale su cui stiamo lavorando è l’azzeramento del codice degli appalti e l’utilizzo delle norme europee che sono più veloci e snelle. E io darei ai sindaci i poteri diretti sulle grandi opere».

Tasto dolente.

«I sindaci? ».

I sindaci. Siete piuttosto in difficoltà con l’individuazione dei candidati.

«Ovvio che non è facile. Ho chiesto ai gruppi parlamentari di lavorare su una proposta che aumenti stipendi e tutele giuridiche dei primi cittadini. Diversamente perché uno dovrebbe mollare la sua vita per lavorare diciotto ore al giorno in cambio di mille e cinquecento euro al mese? ».

Nelle città metropolitane sono quattromila.

«Le sembrano tanti? Pensi solo a quello che è successo alla sindaca di Torino. Condannata per il disastro di piazza San Carlo causata da una banda con lo spray al peperoncino. Assurdo. Se questi sono i criteri i sindaci non li trovi di sicuro. E le dirò di più, con Appendino ho sempre avuto un ottimo rapporto».

Resta che lunedì si presenta al tavolo del centrodestra senza candidati.

«Resta che mi presento al tavolo dei candidati con dieci nomi».

Tanti, cioè nessuno.

«Tanti e di qualità».

Tipo?

«Lo dico prima ai colleghi, sennò si innervosiscono».

Lo vede un ticket Sala-Albertini a Milano?

«Ma no. Figuriamoci. Albertini appoggerà il nostro o la nostra candidata. Se poi il discorso fosse che il vincente può offrire la poltrona di vice al suo competitor, ci si può ragionare. Ma io ho la sensazione che vinciamo noi sia a Milano che a Roma».

A Milano mi pare dura.

«Vedremo».

La cito: se non si fanno le riforme a che cosa serve il governo Draghi?

«L’ho detto, ma ora voglio essere ottimista. E se Letta non smonta di notte quello che fa di giorno possiamo riuscirci. Certo, su burocrazia, fisco e giustizia i problemi possono arrivare solo da sinistra. Brunetta e Cartabia stanno facendo un magnifico lavoro e sul fisco stiamo andando verso un abbassamento delle aliquote».

Le vostre liti sono diventate un genere.

«È sempre Letta che attacca».

Lei è un santo.

«Io replico».

Sulla giustizia state raccogliendo firme assieme ai radicali. Non esattamente un atteggiamento ortodosso per chi sta in maggioranza.

«Cominciamo a dire che le firme hanno l’obiettivo di un referendum per e non contro. E faremo di tutto perché sia questo parlamento ad approvarle. Ovvio che con i 5 Stelle su separazione delle carriere e responsabilità civile dei magistrati abbiamo visioni diverse. Ma almeno la riforma del Csm e della Severino sono alla portata».

Senatore, domani, al vertice del centrodestra vi scannate?

«Nel 2023 saremo noi a governare. A differenza del centrosinistra il centrodestra riesce sempre a essere unito».

Come dimostra la vicenda Copasir?

«Abbiamo sminato la questione dimettendoci. Di più non potevamo fare, ora mi auguro che lo facciano anche gli altri».

È vero che sì è sentito tradito dalla Meloni immaginando una trametta alle sue spalle tra lei e Conte.

«No. Io non soffro di gelosie. Ognuno è libero di parlare con chi crede. Certo, in una situazione identica, col governo Monti, alla richiesta della presidenza da parte della Lega (unica opposizione), la risposta fu no».

Non è neppure vero che per ripicca vuole escludere Meloni dal tavolo sulla Rai?

«A parte il fatto che non esiste nessun tavolo, devo dire che leggo del totonomine con lo stesso divertimento con cui seguo il calciomercato sui giornali. Io non ho mai parlato di nessuno con nessuno e conto che sia Draghi a scegliere».

Ha letto il libro della Meloni?

«No. Non ho avuto tempo. ma conto di farlo. Prima voglio leggere il libro di don Rava, prete molto pop che seguo su Instagram».

Quello che ha litigato con Fedez?

«Ha litigato con Fedez?».

Sì.

«Diciamo che in effetti lui e Fedez non hanno molto in comune».

Senatore, Grillo è finito?

«Sì. Ma non per la storia del figlio che non conosco. Perché il Movimento ha esaurito la sua ragione di esistere».

Dunque è finito anche Conte?

«Non lo so. È difficile capire cosa voglia. Per un po’abbiamo lavorato bene assieme, poi lui ha cominciato con i deliri di onnipotenza e di onniscienza e andare avanti è diventato impossibile».

La rifarebbe la battuta su Meloni e gli alieni?

«Ma sì. Come ho detto un accordo tra di noi l’abbiamo sempre trovato, poi è chiaro che essendo lei all’opposizione e noi al governo qualche scaramuccia può esserci».

Ce la vede a Palazzo Chigi?

«Se il centrodestra vince le elezioni e lei prende un voto più di me certamente. Il patto è sempre stato questo. Ma c’è da aspettare ancora un sacco di tempo e al momento c’è solo un sorpasso a preoccuparmi».

Quello della Juve sul Milan?

«Esatto. Se perdiamo a Bergamo ci resto male».

Dove la guarda la partita?

«A Roma, con Francesca, un grave errore. Ma se va male posso dare la colpa a lei».

Vi sposate?

«Ma no. Stiamo bene così».

A proposito di sport, la conosce Paola Egonu?

«Sì, bravissima. Non perché è nera, perché è bravissima».

Ci mancherebbe. Ma la domanda è: perché chi nasce qui da genitori stranieri, studia qui e non ha mai visto altro posto che l’Italia non è italiano?

«Perché deve avere il diritto di scegliere se vuole essere italiano o magari restare cinese o marocchino. Una decisione che si può prendere consapevolmente a 18 anni».

Un gesto di generosità.

«Un criterio di buonsenso. E a livello europeo nessuno ha dato più cittadinanze di noi»

LA STAMPA

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