Locatelli: “Non vivremo mai più altri lockdown, da metà luglio basta mascherine all’aperto”

NICCOLò CARRATELLI

Il rischio era davvero ragionato e «i numeri parlano da soli, evidenziano che non è ripartito nulla nella maniera drammatica che qualcuno aveva profetizzato». Franco Locatelli, coordinatore del Comitato tecnico-scientifico e presidente del Consiglio superiore di sanità, non è tipo da alzare i toni. Ma quando risponde al telefono ha appena letto i dati di giornata sui nuovi contagi (meno di 4 mila) e sui morti (72, il numero più basso dall’inizio dell’anno) e fatica a tenersi: «Lo sa che sono sempre moderato, ma stavolta rivendico la nostra impostazione, con riaperture graduali e valutate attentamente. Ognuno può tirare le sue conclusioni». Non li nomina, ma pensa ai pessimisti, che si aspettavano un rialzo dei contagi e dei ricoveri in ospedale, «invece il numero dei nuovi ingressi in terapia intensiva è sceso a 48, mentre il 5 maggio erano stati più 142. L’occupazione dei posti letto è poco sopra quota 1400, sotto controllo».

La strategia si sta rivelando vincente, ma si sente di dire che non torneremo indietro, cioè mai più un lockdown?
«Posso dire che è altamente improbabile. Tutte le decisioni sono state prese per non esporci al rischio di dover richiudere. La campagna di vaccinazione fa la differenza: ormai siamo nell’ordine delle 500 mila somministrazioni al giorno, usiamo il 93% delle dosi consegnate, più di 20 milioni di italiani hanno ricevuto la prima dose e più di 10 sono immunizzati con entrambe o con il monodose Johnson&Johnson».

Di questo passo potremo togliere presto anche la mascherina? Tra due mesi, come ha detto Draghi?
«Credo che potremo parlarne nella seconda metà di luglio, eliminando l’obbligo solo all’aperto, o anche al chiuso tra persone vaccinate e non soggette a “fragilità”. Ma per ora continuiamo a portare la mascherina, non credo che impatti in modo eccessivo sulla socialità o sul nostro stile di vita. E consideriamo che, grazie anche alle mascherine, quest’anno praticamente non abbiamo dovuto fare i conti con l’influenza».

Tornando ai numeri della campagna vaccinale, qual è l’obiettivo per metterci al sicuro? Ha ancora senso parlare di immunità di gregge?
«Emancipiamoci dal concetto di immunità di gregge, già Anthony Fauci l’ha definito elusivo. Cambiamo prospettiva e ragioniamo su chi dobbiamo proteggere. I numeri dei vaccinati tra over 80 e over 70 ormai sono molto alti, anche se vanno completati con le seconde dosi. Dobbiamo chiudere al più presto il gap nella fascia di età 60-69 anni, dove un terzo non ha avuto ancora la prima dose, e poi occuparci della fascia 50-59, nella quale invece solo un terzo ha fatto la prima iniezione. Una volta messi in sicurezza gli italiani con più di 50 anni avremo centrato un obiettivo fondamentale».

I «buchi» a cui faceva riferimento preoccupano anche il commissario Figliuolo, che ha richiamato le Regioni: c’è comunque un problema di resistenza al vaccino?
«Mi pare un problema molto ridimensionato, gli italiani hanno capito che se ne esce solo con la vaccinazione. Credo che tra quelli che non si sono prenotati prevalgano difficoltà tecniche di accesso ai sistemi informatici, piuttosto che una vera contrarietà al vaccino. Comunque, condivido le considerazioni del generale Figliuolo: la corsa alla vaccinazione “indiscriminata” è inutile, bisogna dare priorità a chi rischia in caso di contagio. Solo dopo potremo uscire da una logica di protezione per entrare in uno schema che tiene conto di profili lavorativi, organizzazioni aziendali, attività sociali, fino agli studenti».

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