Di Fazio, gli stupri del manager duravano da anni: «Pericoloso, non è solo»
Si sta aprendo un mondo intorno all’arresto dell’imprenditore 50enne Antonio Di Fazio. Ed è un mondo che fa paura. Dove ci sono gli incubi delle ragazze che ancora oggi hanno paura di denunciare, terrorizzate da distintivi del Sisde, da pistole e amicizie criminali con ambienti della ’ndrangheta che probabilmente il 50enne non millantava soltanto.
E ci sono i demoni. Quelli di decine, forse centinaia, di immagini di violenze e abusi su donne prive di sensi e inermi trovate (oltre alle 60 già recuperate) su pc e cellulari del 50enne. Scene molto violente, terribili. Ben più forti, dicono gli investigatori, di quanto emerso finora. E soprattutto datate nel tempo. Le prime — che ha cercato di cancellare — risalirebbero ad alcuni anni fa. Quante sono le donne finite nella rete di Barbablù? E soprattutto, chi è davvero l’ex patron della farmaceutica Global farma?
«Un soggetto pericoloso, pericolosissimo» dicono gli inquirenti. Che aveva attorno a sé una rete di complici e fiancheggiatori, come sospettano i magistrati Letizia Mannella e Alessia Menegazzo. Perché è qui che si muovono le indagini dopo che ieri al quarto piano della Procura sono state sentite per otto ore tre nuove (presunte) vittime dell’imprenditore. Si tratta di ragazze giovanissime, studentesse acqua e sapone, poco più che ventenni «agganciate» da Di Fazio con la scusa di uno stage universitario o un’offerta di lavoro. E abusate, di questo sono ormai convinti i magistrati, nello stesso identico modo della 21enne bocconiana: massicce dosi di benzodiazepine, perdita totale di coscienza e fotografie a ritrarre le violenze. Sono già una decina le giovani che hanno contattato i carabinieri della compagnia Porta Monforte, guidati dal capitano Silvio Maria Ponzio, raccontando storie simili. Ora si dovrà capire se tutte siano state vittima dell’imprenditore o se ci sono casi di autosuggestione. Finora però le indagini hanno fornito la conferma di quanto già il gip Chiara Valori aveva messo nero su bianco nell’ordinanza di custodia cautelare in carcere: «Evidente serialità delle condotte».
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