Marco Travaglio, l’ultimo amore finito malissimo: il dramma del direttore, tutta colpa di Conte e Arcuri

E ora, che fare? Con Beppe Grillo fuori gioco per via del figlio sotto indagine per stupro; con Luigi Di Maio pietrificato come l’impronta delle sue terga sulle poltrone di tre governi in una legislatura; resta forse un pezzo di cuore da lanciare verso Alessandro Di Battista, il pupillo della rivoluzione populista. Chissà. Nel frattempo è lotta dura contro il tandem Draghi/Figliuolo e contro tutti i collaborazionisti del nuovo occupante tecnocratico. Una lotta dal sapore anche liberatorio perché, vuoi o non vuoi, Travaglio gravitava in area di governo da troppo tempo, sia pure senza poter ammetterlo: dal 2018, quando Grillo e il sempre detestato Davide Casaleggio gli avevano inflitto il contratto con Salvini. Adesso finalmente si torna ai fasti dell’antiberlusconismo e dell’antirenzismo, all’ebbrezza manettara degli Ingroia e dei Di Pietro, delle liste Tsipras d’ogni ordine e grado e insomma di tutto quel caravanserraglio della così detta e variopinta società civile. Ed ecco agitarsi invisibili, tra le righe del Fatto, come in un sabba antologico, le ombre dei fantasmi girotondini, le larve giacobine del popolo arancio e viola, i detriti di una verdeggiante giovinezza d’opposizione tetragona. Eccolo, dunque, l’ultimo Travaglio, gran cerimoniere di una seduta spiritica quotidiana convocata per riscattare le sconfitte rispolverando lo squadrismo della prima ora; sempre con l’indicibile gioia ottusa di non averne azzeccata una, in fatto di leader politici.

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