Tensione nei partiti in competizione tra loro. L’irritazione di Draghi per i ritardi sull’agenda
di Francesco Verderami
Il potere logora chi non ce l’ha. E siccome i partiti di maggioranza il potere oggi non ce l’hanno, cercano di sintonizzarsi con l’elettorato entrando in competizione con l’esecutivo. Cioè con Draghi. Epperò — come sottolinea un ministro — «questo schema di gioco è vecchio. E quanti lo adottano non si rendono conto che attorno a loro, nel Paese, è cambiato tutto. Prima o poi dovranno svegliarsi». Nell’attesa, il premier deve fare i conti con le manovre delle forze politiche. E l’irritazione maturata negli ultimi giorni non è dettata dalla necessità di trovare dei compromessi, semmai dal fatto che queste azioni tattiche stanno provocando ritardi al ruolino di marcia stabilito per i provvedimenti messi in cantiere.
Fonti accreditate del governo ricostruiscono le cause dello scontro sul decreto Sostegni e raccontano che, mentre Lega e Forza Italia si erano mosse per tempo con le loro richieste, il Pd l’ha fatto «solo all’ultimo momento» con il pacchetto sul Lavoro: lo slittamento di un paio di settimane rischia così di ingolfare l’attività del Parlamento e di far saltare il timing per l’approvazione dei decreti e delle riforme. Ecco il punto. Siccome le scadenze sono parte dell’accordo con l’Europa, Draghi ha fatto sapere ai partiti che sulle norme per le Semplificazioni — dove c’è il delicato tema del Codice degli appalti su cui i dem minacciano le barricate — la trattativa non potrà contemplare ulteriori ritardi.
Si vedrà se e come le forze politiche reagiranno. In principio era stato Salvini ad applicare il metodo «di lotta e di governo» sulle riaperture. Poi, come in una sorta di staffetta, il testimone è passato a Letta. Tanto che il leader della Lega ha restituito al segretario del Pd la battuta con la quale veniva attaccato: «Se Letta non se la sente, può uscire dal governo». Né l’uno né l’altro possono (e vogliono) farlo, ma ora che i temi all’ordine del giorno sono cambiati è il Nazareno a essere entrato in sofferenza. I democratici vivono in questa fase un paradosso. Il partito europeista per eccellenza è messo in difficoltà da riforme che proprio l’Europa chiede e che smontano il sistema di potere di cui, di fatto, il Pd era custode: lavoro, fisco, burocrazia e giustizia.
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