Dalle tasse allo ius soli, perché Letta vira a sinistra
Non è, naturalmente, che Letta rivendichi una sorta di par condicio (e per la verità anche Salvini, su Speranza da cacciare e immigrazione, per esempio, ha subìto perentori altolà): però che scandalo è il fatto che un partito che si dichiara di sinistra chieda che, a certe condizioni, i licenziamenti restino bloccati? Insomma, se un imprenditore usufruisce di una cassa integrazione interamente a carico dello Stato, gli si può dire: o l’uno o l’altro? Cioè, o prendi la cassa o licenzi? Letta crede di sì, e infatti ha difeso il suo ministro (Orlando). La sensazione è che andrà avanti così, perché il tempo è questo: è all’ombra di Draghi e del suo governo, infatti, che deve provare a rimettere in piedi il partito e dargli una missione finalmente riconoscibile.
Le difficoltà sono enormi. E non è neppure detto che una linea “classicamente di sinistra” sia vincente, di questi tempi. Però il dado è tratto: e paradosso dei paradossi, tocca giusto a un moderato ed ex democristiano sperimentare le possibilità di successo con una linea “più di sinistra”. Al di là del governo, infatti, è anche nella riorganizzazione del Pd che si sta muovendo lungo la stessa traccia. Donne, giovani e lavoro. Anche qui: dire che stia mietendo successi, sarebbe esagerato. I problemi gli piovono addosso come grandinasse. Ed alcuni, inattesi, lo turbano non poco.
Prendete le prossime elezioni nelle grandi città: un passaggio decisivo e già complicato di suo. Problemi ovunque. Ma poiché la politica – appunto – è spesso paradosso, mai avrebbe immaginato che a ingarbugliare ulteriormente la faccenda ci si mettessero delle donne: come se non fossero in cima alla sua agenda politica e non ne avesse scelta una come sua vice e altre due come capogruppo alla Camera e al Senato. E invece sono proprio tre donne ad avergli dato scacco in vista del voto: la Raggi che va per la sua strada, la Appendino che non vuole alleanze Pd-Cinquestelle e la Isabella Conti, scesa in campo a Bologna a mischiare e confondere le carte nell’unica partita che sembrava sicura.
E non è finita qui. Perché a Letta, talvolta, capita di pensare alla prova delle prove che lo attende l’inverno prossimo: l’elezione del capo dello Stato, vero esame di maturità per qualunque segretario di qualunque partito. Come arrivarci? Su chi puntare? Il Pd sembra orientarsi verso la scelta più semplice, ma chissà se percorribile: fino al 2023 resti tutto com’è, Draghi a Palazzo Chigi e Mattarella al Quirinale. Il primo ovviamente tace, il secondo ha gia detto di no. Sarà una partita difficile: potrebbe diventare drammatica. Letta lo sa, e ripensa ai 101 franchi tiratori che affondarono Prodi: fu uno shock, e stavolta potrebbe andare peggio. Ma c’è tempo, e il vento potrebbe cambiare. Almeno è questo quel che spera. E sperare, si sa, aiuta e non costa niente…
LA STAMPA
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