Cavi mai cambiati per 23 anni “Logorati dalla tanta umidità”

Lodovico Poletto inviato a Verbania

II freno d’emergenza che non funziona, certo. È un errore umano, o forse anche qualcosa di più. Ma la domanda attorno a cui ruota tutta l’indagine della Procura di Verbania – e sulla quale per il momento nessuno intende sbilanciarsi – è questa: «Per quale misteriosa ragione si è strappato il cavo che traina le cabine?»

Per capire qualcosa di più bisogna sfogliare l’atto di appalto dei lavori di manutenzione alla funivia del Mottarone. Anno 2014. Il documento è «la Relazione tecnica generale del Progetto Esecutivo». Dove sono elencati in modo chiaro tutti i lavori che saranno fatti: uno per uno. Si parla di pulegge, di «installazione dello smorzatore di oscillazioni», di sostituzione dei «rulli di linea» degli impianti principali e addirittura di «adeguamento e pulizia dei veicoli principali». Ma non c’è una sola parola sui cavi. Perché? Perché la sostituzione delle funi portanti, traenti e di soccorso di entrambi i tronchi venne fatta l’ultima volta tra il 1997 e il 1998. Nel 2014 quando si progetta il rifacimento non se ne fa nulla. Tecnicamente non sono passati venti anni, ovvero si è ancora dentro (seppure di poco) alla norma italiana entrata in vigore dopo la tragedia della funivia del Monte Bianco, che stabiliva l’obbligo di sostituire le funi dopo 20 anni di attività. E mancavano ancora 36 mesi prima di essere al limite. Di più. Già allora c’era anche in ballo una norma europea che prevedeva di procrastinare di altri dieci anni l’intervento. Di qui la scelta di non farne nulla. Si cambiò tutto, ma restano le funi. Cosa scentra tutto questo con la tragedia del Mottarone? C’entra perché è il cedimento della fune che innesca la discesa in retromarcia della vettura. Che non può frenare. Perché accade?

A sentire Donato Firrao, docente del Politecnico di Torino, l’uomo che firmò la perizia tecnica sul cavo portante della funivia del Monte Bianco – altra grande tragedia italiana dei trasporti su fune – c’è di mezzo l’usura. Ovvero una storia che, a raccontarla adesso, fa venire in mente analogie con un’altra tragedia del Paese: quella del ponte di Genova. Una storia che ha a che vedere con l’acqua – e la linea del Mottarone corre proprio sopra la più grande zona lacustre del nord Italia – e ciò che accade al Morandi. In sintesi i tecnici la spiegano così: l’umidità raccolta da dalle funi, nelle ore più fredde si condensa e si insinua tra i trefoli (i fili intrecciati su un’anima di metallo flessibile) e raggiunge il centro. Dove- pian piano – la corrodono. Ovvero: esattamente ciò che è accaduto agli stralli del Morandi. Vero, lì c’era il mare, l’acqua salina, la corrosione moltiplicata per mille, ma su una fune che è almeno venti volte più grande di quella trainante di una funivia. Possibile professor Firrao? Ed ecco la sua risposta: «Quando tagliammo il cavo portante del Monte Bianco fummo investiti da una nuvola di ossido di ferro. Frutto della corrosione interna, che mangia l’anima de fili e alla fine cede di schianto. Non eravamo al mare. ma in montagna., In una zona umida».

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