Lo spettro di Monti s’aggira al Nazareno

C’è uno spettro che si aggira per il Nazareno. Ed è lo spettro di Mario Monti, esperienza che, in nome della responsabilità, si rivelò una donazione di sangue per il Pd. Mario Draghi non è Monti, per agenda nient’affatto rigorista e per sensibilità politica. Però come allora il “forgotten man”, il ceto medio spezzato dalla crisi, si affidò alla rivolta populista, oggi il “licenziato Covid”, sia esso l’imprenditore che chiude sia esso il lavoratore che perde il lavoro, è un soggetto che prefigura una nuova possibile bomba sociale, in un contesto in cui ci vuole tempo per riattivare la crescita e non è ancora stato predisposto un sistema di ammortizzatori sociali dopo la fase dei “tamponi” emergenziali.

Anche i sindacati e in particolare la Cgil che per prima si era fatta promotrice di una soluzione di emergenza, mentre la sinistra politica era ancora intenta a elaborare il lutto di Conte, hanno cominciato a rialzare i decibel della protesta sociale. Insomma, aleggia una certa inquietudine, per quel che sta accadendo e per quel che accadrà, e per chi ne pagherà il prezzo più impegnativo. Il partito delle vedove del governo precedente vede in questo contesto la conferma delle proprie funeste previsioni. E cioè che, in fondo, questo governo di emergenza è solo l’incubatore di una svolta a destra, nel modello di sviluppo prefigurato dal Recovery e negli effetti sociali che produce.

A conferma di questa tesi si dice che proprio la struttura di comando del Recovery ne rappresenta la prova più lampante, perché il grosso dei capitoli di spesa è nelle mani dei ministri “tecnici” da Cingolani a Colao che, per dirne una, sta smontando l’operazione sulla rete unica provando a parcellizzare gli interventi sui territori. Poi ci sono quelli dei centrodestra, da Brunetta a Giorgetti e poi, da ultimo, quelli del Pd, titolari di ministeri meno coinvolti. Il risultato è che alcune parole d’ordine come “pubblico” sono avvolte da una nuvola di ambiguità: vale per l’efficientamento energetico delle scuole, su cui non è sciolto il nodo delle private, come per la sanità.

Nello spazio di pochi giorni poi sono successi un paio di fatti di non banale rilevanza. La proposta del segretario del Pd di una tassa di successione sui grandi patrimoni, misura spot dal sapore dal sapore “di sinistra”, è stata liquidata dal premier con una battuta. E l’ipotesi di una norma anche di buon senso, predisposta del ministro Orlando, di prolungare di fatto per un paio di mesi il blocco dei licenziamenti è stata respinta dall’offensiva di Lega e di Confindustria, anche con una certa aggressività. Tutto il racconto ruota attorno a una situazione subita e di disagio, in cui la buona volontà si infrange contro il muro di una situazione oggettiva proibitiva, quasi di un destino cinico e baro.

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