Morta Carla Fracci, diva assoluta della danza mondiale

Il matrimonio con Beppe Menegatti

Intanto debutta anche la sua vita privata: l’11 luglio 1964 a Firenze sposa Beppe Menegatti, aiuto regista di Visconti e sei anni dopo ecco Francesco. Nella Spoleto di allora, con Gades, nasce una coreografia su musiche di Ravel e la Fracci apre la porta al mito dei veli che la rendono invisibile e impalpabile, «più leggera dell’aria e più lieve di un sospiro».

Menegatti, marito e manager

La sua collaborazione con American Ballet Theatre (partner Erik Bruhn) è del ’74, mentre la Carlina diventerà direttrice del corpo di ballo di Napoli, dell’Arena di Verona dal ’95 al ‘97, della Scala, poi Roma e ancora la Scala, sempre con contorno di polemiche, ma Milano la elegge membro dell’Accademia delle belle arti di Brera. Le sfide della Fracci sono molte, spesso in collaborazione col marito che le fa da global manager, intuendone e sfruttandone ogni possibilità e nel 2002 la Carlina veste i panni di Amleto all’Opera di Roma in un ensemble di soli uomini.

La carriera

La carriera di una grande ètoile è fatta dalla somma di indimenticabili serate d’onore in luoghi privilegiati del mondo e anche dalla memoria, un lungo filo di equilibrio sotto le luci dei riflettori, alla fine dei quali arrivano non solo le acclamazioni ma i distintivi di Cavaliere, Commendatore, Grand’ufficiale della repubblica. Carla è un mito, nato così, costante, semplicemente, dalla fatica quotidiana.

Montale: «Eterna fanciulla danzante»

Il poeta Montale la spiega così: «Carla Fracci è Giulietta…Carla, eterna fanciulla danzante». Il suo repertorio si allarga sempre di più: i tre classici di Ciakovskji (Lago dei cigni, La bella addormentata, Lo schiaccianoci), i tre di Prokofiev (Romeo e Giulietta, Cenerentola, Il fiore di pietra), oltre grandi titoli romantici e tardo romantici (La Sylphide, La gitana, La Pèri), Coppelia, il grande ballo Excelsior che nel ’60 Filippo Crivelli rilancia in uno spettacolo storico.

Teatro e cinema

E ci sono i balletti di Diaghileve quelli di Roland Petit e di Maurice Béjart, lei è sempre contemporanea ai suoi autori. Se il più lungo sodalizio è stato con Nureyev, con serate scaligere emozionanti, ci sono poi pure Babilèe, Baryshnikov, Bortoluzzi, fino ai giovani Ezralow, Iancu, Bolle e Murru, il filo che lei fa scorrere alla ricerca di un tempo perduto e ritrovato. La Fracci recita e naturalmente è Shakespeare: Ariel nella Tempesta, Titania nel Sogno di una notte di mezza estate, infine partecipa al film di Herbert Ross Nijinski e recita la Strepponi nello sceneggiato nazional popolare su Verdi di Castellani, riprende le divine nel film Le ballerine di Ustinov. E partecipa alla Storia vera della signora delle camelie di Bolognini, diventando la divina per eccellenza accanto all’amica Valentina Cortese, di cui non mancava mai un compleanno, in un tripudio liberty.

Il mito Carla Fracci

Ma la sua fama, la sua perfezione, la sua alata leggenda, non le impediscono decisioni fuori dal clichè, come il fatto stesso di avere un figlio, tradendo l’etereo mondo dei riflettori e dei passi a due. Lascia il ballo della Scala in nome della pluralità dell’espressione, va ad esibirsi sotto i tendoni dei teatri di periferia (scuola Paolo Grassi), si appella al presidente Napolitano nel 2012 perché salvi le scuole e i corpi di ballo in Italia. Muti, in nome della musicalità, la sceglie per molti Sant’Ambrogio scaligeri, perché è lei la Sarah Bernhardt della danza.

Quando diceva: «Nel nostro lavoro bisogna essere sempre nuovi»

Coglie il testimone di molte donne per sempre moderne e infelici, Gelsomina, Medea, Mila, Francesca da Rimini, la Zelda Fitzgerald. Quella piccolina in cui molti non credevano, danza l’Ave Maria di Schubert, si fa erede della Duncan, è un mito le cui colonne sono saldamente piantate nella terra nebbiosa lombarda: «Nel nostro lavoro – diceva – bisogna essere sempre nuovi e sempre rimettersi in discussione».

Oltre 200 personaggi

Dopo aver consumato migliaia di scarpine da ballo, le scarpette rosse del film amatissimo di Powell e Pressburger, aver percorso chilometri di palcoscenico, aver vinto tutti i premi possibili ovunque nel mondo, la Fracci fino all’ultimo ha sempre avuto voglia di rimettersi in gioco: è una forma d’arte esigente, ricordava, ma poi in palcoscenico si dimentica tutto. Poche settimane fa aveva partecipato alla docuserie in 12 puntate Corpo di ballo, sul dietro le quinte del balletto della Scala dopo il lockdown, prendendo a emblema la preparazione di Giselle, il più romantico dei balletti, uno dei suoi tanti cavalli di battaglia. Perché la Fracci nella sua carriera, oltre 65 anni, ha portato in scena oltre 200 personaggi come racconta in un’intima autobiografia che parte dalle nebbie padane.

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