Di impunitisti neanche l’ombra, di giustizialisti un esercito

Funivia

Il rincrescimento di Luigi Di Maio per dieci anni abbondanti di politica dell’onestà giocata sulle manette degli altri, ha rinfocolato uno strano dibattito a proposito del derby fra giustizialisti e garantisti. Detto così suona molto male: se ne deduce che i primi sostengano il primato dell’azione giudiziaria e i secondi il primato delle garanzie costituzionali, e il derby sarebbe già finito poiché la Costituzione prevale su tutto. Infatti il segretario del Pd, Enrico Letta, ha proposto un neologismo, impunitisti, per contrapporre ai giustizialisti una categoria simmetrica. Poi, sarò particolarmente miope io, ma di impunitisti non ne conosco. Conosco moltissimi capi di partito (e giornalisti) garantisti con sé e con gli alleati e giustizialisti con gli altri, e conosco il Pd, che per inscenare una garbata equanimità ha finito con l’essere giustizialista anche coi suoi. In ogni caso il racconto del derby è tornato di prepotenza sui giornali, come fossero alla ricerca di un terzismo a mezza strada fra giustizialisti e garantisti di cui è complicato pure dare una definizione. E infatti la definizione non c’è.

Ma lo straordinario del dibattito è stato il suo rianimarsi nelle ore in cui l’inchiesta sullo straziante disastro della funivia del Mottarone si faceva da molto semplice a dannatamente complicata, con le scarcerazioni disposte dal giudice. In un paio di giorni la procura di Verbania aveva fermato i tre principali colpevoli e individuato il movente, e sull’ipotesi investigativa i giornali si erano buttati con spettacolare smodatezza. Soprattutto a proposito dell’abiezione del movente, l’avidità, ispiratrice di una quantità di articoli al limite del savonarolesco. Noi qui ad Huffpost siamo contenti della nostra prudenza. La teoria dell’avidità non reggeva. Gli stessi fermati viaggiavano normalmente sulla funivia manomessa, e i figli del proprietario ci erano saliti un’ora prima del disastro. Nessuno per avidità mette a rischio la vita dei figli o addirittura la propria. Senza considerare che uno dei tre fermati, e ora scarcerato, dipendente dell’azienda manutentrice, dalla manomissione aveva niente da guadagnare. Doveva esserci dell’altro. Magari qualcosa di peggio, ma non l’avidità.

E tuttavia abbiamo letto anche degli articoli in compiaciuto elogio alla solerzia della procuratrice di Verbania, Olimpia Bossi, notata anche nelle interviste concesse in un numero competitivo con quello dei Måneskin dopo la vittoria all’Eurovision. E nonostante contengano alcuni strafalcioni (dice di avere disposto il fermo per rischio di inquinamento delle prove, e non si può, il fermo è  lecito solo per pericolo di fuga) così macroscopici che viene da attribuirli all’imperizia dei giornalisti. Qua e là si leggono dichiarazioni abnormi, eppure le si riportano con la tranquillità di chi considera tutto normale, perché è così, tutto l’anormale è diventato normale.

Non potevano non sapere, dice pressoché testuale la procuratrice, come prova a carico degli indagati, a riportarci al fondo del problema vecchio ormai di trent’anni. E da ora in poi, dice, non andrà più a prendere il caffè con la gip che le ha ridimensionato dell’inchiesta, e in nessun paese al mondo il magistrato inquirente e il magistrato giudicante vanno a prendere il caffè assieme. Non ci può essere familiarità o amicizia fra i due, dovrebbero essere due mondi separati (stavo scrivendo due carriere separate). Ma da noi è la norma, è la quotidianità eterna, quando ero un cronista di giudiziaria vedevo sempre i pm e i gip andare a prendere il caffè assieme, e gli avvocati spiegavano desolati che loro per ottenere un appuntamento ne avevano da fare di anticamera.

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