La Cina è sempre meno vicina
La scorsa settimana il Parlamento Europeo, riunito in seduta plenaria, ha approvato a stragrande maggioranza (599 Si; 30 No; 58 astenuti) la Risoluzione che congela e non ratifica l’Accordo sugli Investimenti fra Unione Europea e Repubblica Popolare Cinese. L’EU-China Comprehensive Agreement on Investment-CAI era stato siglato fra la Commissione Europea e gli inviati di Pechino lo scorso dicembre e la presidente Ursula von der Leyen lo aveva salutato come un’intesa in grado “riequilibrare i rapporti economici fra Ue e Cina”, impegnando la Cina ad aderire a “principi ambiziosi in materia di sostenibilità, trasparenza e non discriminazione”.
L’ottimismo della Commissione per l’apertura di una nuova stagione delle relazioni economiche e commerciali con Pechino non ha però tenuto conto della svolta radicale impressa da Xi-Jinping nella politica cinese, che ha già trasformato sia la Cina al suo interno che i rapporti fra la Cina e il resto del mondo.
La progressiva riduzione delle libertà interne, le carcerazioni di massa e il genocidio della minoranza uigura in Xinjiang; la negazione di ogni forma di libertà politica e religiosa per la minoranza tibetana; la fine del modello “una Cina, due sistemi”, con il tradimento del patto sino-britannico, gli arresti indiscriminati e la “normalizzazione” della città di Hong Kong; l’occupazione del mar Cinese Meridionale; l’aumento della tensione nello stretto con Taiwan; una diplomazia sempre più aggressiva e assertiva (i cosiddetti “wolf warrior”); la poca trasparenza nella gestione della pandemia, hanno lasciato il segno.
E cosi, anche grazie al ritorno degli Usa di Joe Biden sulla scena diplomatica mondiale, Usa, Unione Europea, Gran Bretagna, Canada, Australia e Nuova Zelanda hanno promosso lo scorso marzo un pacchetto di sanzioni mirate nei confronti di Pechino per denunciare le massicce violazioni dei diritti umani nei confronti della minoranza uigura nella regione del Xinjiang.
Era dai tempi del massacro di Tienanmen che l’Europa non imponeva sanzioni alla Repubblica Popolare Cinese.
La reazione di Pechino è stata immediata e molto dura, con sanzioni nei confronti di 5 parlamentari europei impegnati nella difesa dei diritti umani, il Sottocomitato del Parlamento Europeo sui Diritti Umani, diverse Fondazioni e Associazioni che si occupano di diritti e democrazia (come la Alliance of Democracies dell’ex premier danese Anders Fogh Rasmussen) e infine il Comitato Politico e di Sicurezza (CPS) dell’Unione, l’organismo che riunisce gli ambasciatori dei 27 paesi membri e che definisce le linee guida e gli indirizzi in materia di politica estera e di sicurezza comune.
Un attacco diretto dunque al cuore dell’Europa.
E mentre le sanzioni europee, nella filosofia del Magnitsky Act, colpivano singoli esponenti del regime coinvolti nella repressione della minoranza uigura, le contro-sanzioni cinesi sono state generalizzate ed hanno colpito parlamentari democraticamente eletti, ricercatori ed enti che negli anni hanno liberamente criticato le scelte politiche in materia di democrazia e diritti del regime cinese.
Il Parlamento Europeo ha quindi giudicato le sanzioni di Pechino una “minaccia totalitaria” messa in atto da un regime che vuole decidere ed autorizzare a livello globale cosa si possa o non si possa dire sul regime stesso.
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