Giovanni Brusca libero dopo 25 anni: uccise Falcone. La sorella del giudice: doloroso, ma è la legge voluta da mio fratello
di Giovanni Bianconi
Giovanni Brusca il 21 maggio 1996 alla questura di Palermo (Ansa/Archivio Corriere)
ROMA — Il fine pena è arrivato puntuale, lento ma inesorabile: trent’anni di carcere, che con la liberazione anticipata che si applica a tutti i detenuti — 45 giorni di sconto ogni sei mesi passati in cella, unico beneficio concesso anche ai mafiosi — sono diventati venticinque. E così Giovanni Brusca, il boss di San Giuseppe Jato che era nel cuore di Riina, l’artificiere che fece esplodere la bomba di Capaci, arrestato nel 1996, è uscito lunedì per l’ultima volta dal carcere romano di Rebibbia. Libero, seppure con qualche residua limitazione e sempre sotto protezione, inserito a pieno titolo nel programma per la sicurezza dei pentiti.
Pentito
Perché questo ha consentito all’esecutorie materiale della strage di Capaci, l’assassino di Giovanni Falcone, Francesca Morvillo e dei tre agenti di scorta di non morire in galera come gli altri boss di Cosa nostra che decisero quello e altri eccidi, e centinaia di omicidi: la collaborazione con la giustizia. Brusca i delitti commessi non riusciva nemmeno a contarli, per quanti erano. Ma grazie alla decisione di confessare, denunciare e far condannare gli altri mafiosi, capi, sottocapi e gregari, ha evitato l’ergastolo; trent’anni sono tanti, ma hanno comunque un termine, e adesso quel termine è arrivato.
Le reazioni
Il leader della Lega Matteo Salvini accusa: «Non è la giustizia che l’Italia merita», mentre Maria Falcone,
sorella di Giovanni, commenta: «Umanamente è una notizia che mi
addolora, però questa è la legge, che peraltro ha voluto mio fratello e
quindi va rispettata». Ma Brusca è l’ultimo pentito della strage a
uscire; gli altri che contribuirono a far saltare in aria l’autostrada
Palermo-Punta Raisi e che subito o quasi scelsero la via della
collaborazione, sono liberi da tempo: Gioacchino La Barbera, Santino Di Matteo e non solo.
Di
Matteo fu il primo a confessare, nell’autunno del ’93; per vendetta gli
rapirono il figlio Giuseppe appena dodicenne, tenuto segregato per
oltre due anni, poi ucciso e sciolto nell’acido. Per ordine di Giovanni
Brusca. Era l’inizio del ‘96, al killer chiamato ’u verru,
il porco, erano rimasti pochi mesi di libertà. Lo presero il 20 maggio
di quell’anno, in provincia di Agrigento, dopo alcuni tentativi falliti
in cui agli investigatori erano rimaste in mano solo le camicie firmate
che a Brusca piaceva indossare, abbandonate nella fuga. Quella volta
invece centrarono l’obiettivo, e il boss non ancora trentenne (è nato il
20 febbraio 1957) venne catturato assieme al fratello Enzo, altro
manovale dei Corleonesi, altro pentito libero da tempo.
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