Svolta dell’ultima ora, in Israele finisce l’era di Netanyahu
di Davide Frattini, corrispondente a Gerusalemme
Il foglio con le firme da consegnare al presidente era pronto fin dal mattino, ce n’erano cinque in inchiostro blu, ne mancavano tre. Fino all’ultimo. La «coalizione del cambiamento» è arrivata al limite dei nervi e del tempo a disposizione di Yair Lapid prima di poter annunciare l’intesa che può — manca ancora la fiducia in parlamento la settimana prossima — interrompere i 12 anni al potere di Benjamin Netanyahu.
Il meccanismo della rotazione — Naftali Bennett diventa capo del governo per primo, dopo tocca a Lapid che per ora è ministro degli Esteri — si è infiltrato dentro le minuzie dei negoziati e nel pomeriggio l’ostacolo più grande era rappresentato da chi dovesse avere un posto nella commissione Giustizia tra Merav Michaeli, leader laburista, e Ayelet Shaked, numero due nel partito dei coloni guidato da Bennett. Crisi risolta con una mini rotazione.
Altro ritardo. Mansour Abbas è a capo di una formazione islamista e ha potuto confermare il suo sì solo dopo aver ottenuto il via libera dal consiglio religioso, dovrebbe ottenere l’incarico di viceministro degli Interni ed è la prima volta che gli arabi israeliani partecipano al governo dal 1977.
L’alleanza riunisce pezzi molto diversi, per ora è tenuta insieme dalla volontà di mandare a casa Netanyahu e di evitare le quinte elezioni nel giro di due anni e mezzo. L’intesa prevede che le questioni più ideologiche come le trattative con i palestinesi siano lasciate da parte per concentrarsi sui problemi interni, dall’economia alla necessità di ritrovare l’unità dopo gli scontri delle scorse settimane tra arabi ed ebrei e gli anni di incitamento contro la sinistra. Anche ieri un gruppo di sostenitori del Likud ha protestato davanti al palazzo dove i capi dei partiti stavano finalizzando l’accordo: i fedelissimi di Netanyahu, sotto processo per corruzione, considerano un golpe il cambio al vertice.
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