L’Ue boccia il blocco dei licenziamenti: “Non aiuta il lavoro”

Marco Bresolin

DALL’INVIATO A BRUXELLES. Secondo la Commissione europea, il blocco dei licenziamenti è «superfluo». La valutazione emerge dal documento, pubblicato ieri, che offre un’analisi approfondita della situazione economica italiana. La misura, scrivono i tecnici di Bruxelles, «tende a influenzare la composizione, ma non la portata dell’aggiustamento del mercato del lavoro». Ancor più esplicita la frase successiva: «Un confronto con l’evoluzione del mercato del lavoro in altri Stati membri che non hanno introdotto tale misura suggerisce che il blocco dei licenziamenti non è stato particolarmente efficace e si è rivelato superfluo in considerazione dell’ampio ricorso a sistemi di mantenimento del posto di lavoro».

La Commissione boccia il provvedimenti anche perché «avvantaggia i lavoratori a tempo indeterminato a scapito di quelli a tempo determinato come gli interinali e gli stagionali». Per questo «più a lungo è in vigore e più rischia di essere controproducente perché ostacola il necessario adeguamento della forza lavoro alle esigenze aziendali».

Più in generale, il messaggio mandato ieri dalla Commisione con le raccomandazioni contenute nel “pacchetto di primavera” del semestre europeo dice che l’Italia deve iniziare a tagliare la spesa corrente, mantenere quella per gli investimenti e sfruttare al meglio i fondi del Recovery per spingere la crescita. In sintesi: da qui al 2022 è necessario tornare a politiche «prudenti» per prepararsi al 2023, quando è previsto il ritorno del Patto di Stabilità. A fine anno inizierà la discussione sulla revisione del Patto, ma non sarà una passeggiata. Il commissario all’Economia Paolo Gentiloni e il vicepresidente Valdis Dombrovskis, pur usando toni e accenti diversi tra di loro, hanno fornito chiare indicazioni sulle politiche di bilancio. E cioè che è certamente necessario continuare con il sostegno pubblico all’economia per garantire un’uscita dalla crisi senza intoppi, ma il 2022 sarà l’anno della “differenziazione”: chi può spendere avrà l’obbligo di farlo, ma chi ha un debito pubblico troppo elevato (e l’Italia è tra questi Paesi) dovrà muoversi all’interno di quel sentiero stretto che impone di tenere in considerazione il risanamento dei conti pubblici.

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