Il balzo dei prezzi strangola le aziende: “Un microchip da 3 euro ne costa 800”

Gabriele de Stefani

Arrivi un giorno in azienda e per un microprocessore che un anno fa costava tre dollari e mezzo te ne chiedono 817,90. Calcolare la percentuale di rincaro è un puro esercizio di stile, la sostanza è che così non si può lavorare: «Siamo stati costretti a fermare la linea produttiva per una settimana, finché non abbiamo trovato il microchip a 40 dollari, comunque un prezzo altissimo» dice Giordano Riello, che con la sua NPlus a Rovereto produce schede elettroniche. È la grande crisi delle materie prime: da mesi introvabili e schizzate a livelli record per il combinato disposto della ripresa, dell’aumento della domanda, dell’inflazione e della storica iniezione di soldi pubblici nell’economia. E le prospettive, dicono gli analisti, non sono incoraggianti: i rincari proseguiranno per un altro anno e mezzo.

La manifattura si arrangia come può, tra fermate, cali dei margini e ripercussioni sui prezzi proposti ai clienti. «Noi lavoriamo con materiali ferrosi e plastica – spiega Giorgio Luitprandi della Edilmatica, che a Mantova produce prefabbricati per l’edilizia –. Siamo in difficoltà, l’ultima sorpresa pochi giorni fa. All’improvviso una mail da un fornitore: “Non rispettiamo le consegne previste, possiamo darvi solo materiali di minore qualità”. Stiamo correndo il rischio di perdere clienti, non ci sono alternative e non possiamo scaricare tutto sui prezzi. Ed è impossibile programmare a sei mesi come eravamo abituati, al massimo si ragiona su qualche settimana». Se far pagare tutto ai clienti fa finire fuori mercato, la sponda non arriva da chi sta a monte della catena: «Si è creata una bolla speculativa tra i fornitori – ragiona Francesco Frezza, industriale del legno di Bari –, noi abbiamo dovuto annullare contratti già firmati, era impossibile rispettarli con prezzi schizzati da 400 a 800 euro al metro cubo e con gli imballaggi rincarati del 30-40%.

Procediamo con accordi settimanali sperando di spuntare di volta in volta condizioni migliori, e tutti ci propongono consegne non prima di settembre-ottobre». Basta poco per perdere i clienti: «Magari un concorrente cinese che la materia prima ce l’ha in casa, visto che siamo tutti dipendenti da loro – si sfoga Riello –. Pechino arriva a mettere i dazi in uscita, sono manovre per indebolire i mercati occidentali a cui dovremmo rispondere. Servono interventi a livello europeo per proteggerci».

L’inflazione pesa anche sull’agroalimentare: a maggio + 40% per le commodities, dice la Fao. Record dal 2011.

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