Enrico Letta e quel che resta di “VeDrò”

Si deve a Enrico Letta la coraggiosa iniziativa di riunire assieme, a ragionare di politica concreta e non di fantasmi, di programmi, di problemi del Paese, giovani esponenti dell’intero arco politico e culturale, senza discriminazione di appartenenza. Anzi, sfidando le logiche perverse della separatezza blindata tra centrodestra e centrosinistra. Il segretario del Partito democratico è oggi un sostenitore della prima ora del governo Draghi. Lo stesso governo da lui presieduto si ispirava al superamento delle ostilità pregiudiziali, prepolitiche di due acerrimi nemici, il berlusconismo e l’antiberlusconismo. A differenza, fastidiosa differenza, di altri che pure stanno nella maggioranza. Oggi, Enrico Letta sembra progressivamente attenuare il proprio ruolo di puntello naturale dell’iniziativa congiunta del capo dello Stato e del presidente del Consiglio, immerso più nella logica della competizione politica che nel consolidamento delle mura di sostegno della nazione. Quasi, la sua, un’eredità inaspettata della precedente, esanime gestione del partito, attenta più alle logiche di schieramento e di geografia politica, al controllo di un anacronistico territorio ideale, che non a quell’allargamento dell’unità di intenti che non è più un’opzione, ma una drammatica necessità, priva di alternative. Compare oggi una parola nobilissima, sinistra, fin qui trascurata nel vocabolario di Letta: nobilissima purché non usata per misurare la distanza dagli altri. E si attenua l’idea di formare un vero centrosinistra, oggi a portata di mano, che tenga lontani piccoli ma qualificati soggetti dai confini dall’area anacronistica del sovranismo e del nazionalismo, sempre meno compatibile con l’idea di Europa. La domanda: quanto resta, nel segretario Pd di oggi, di quella politica che smussa gli estremismi e li spinge nell’area che è, ad un tempo, di progresso moderato e certezza delle democrazia? Quanto resta dello spirito di VeDrò? Della sua naturale aspirazione, anche in ottica elettorale, di solide alleanze nel segno dell’Europa, relegando a convergenze di necessità quelle con compagni di strada in sintonia precaria con la nostra Costituzione, e quindi con la stessa storia del Partito democratico? Quelle, strabiche, con la sinistra che non c’è?

LA STAMPA

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