I quesiti e l’appello al popolo la scintilla per scuotere il governo

Marcello Sorgi

Il dibattito appena cominciato sui referendum sulla giustizia proposti dai Radicali, a cui ha subito aderito Salvini, conferma, se ancora ce ne fosse bisogno, la capacità di questo strumento di consultazione popolare di scompaginare e orientare i giochi della politica. Ma è inutile negare che dietro tutte le mosse – adesioni, rifiuti, riserve – che si stanno manifestando, perfino prima che la raccolta delle firme abbia inizio, a luglio, si agita un fantasma che sta condizionando le scelte al proposito: perché si tratterebbe della prima tornata referendaria post-populismo. Dopo anni trascorsi a prendersela con partiti, come 5 Stelle e Lega, che hanno costruito il loro successo sulla rappresentanza diretta e sull’uso, ancorché distorto della volontà popolare, rivendicando la bontà, tutta da dimostrare, della democrazia rappresentativa, si tratterebbe, per chi parte da queste posizioni e decida di schierarsi per i referendum, di fare in qualche modo marcia indietro, riconoscendo che il popolo, nei modi garantiti dalla Costituzione, può contribuire a orientare le scelte della politica, con delle salutari iniezioni di democrazia diretta.

Chi avrebbe mai detto, nel 1974, in epoca di pieno “regime democristiano” e con una fortissima presa della Chiesa e del Vaticano sulla società civile, quasi il settanta per cento degli elettori si sarebbero schierati in difesa del divorzio? E una scelta simile avrebbero fatto, sette anni dopo, con percentuali diverse, per l’aborto? Per non dire degli “storici” referendum elettorali promossi da Mariotto Segni, nel ‘91 e ‘93, che inaugurarono l’epoca, ormai superata, della Seconda Repubblica e dei governi scelti direttamente dagli elettori, senza aspettare le manovre dei partiti.

Oggi che gli orientamenti dell’opinione pubblica vengono monitorati costantemente nei sondaggi, e i risultati delle elezioni sono annunciati da previsioni statistiche, mentre i cittadini si stanno recando alle urne, sorprese del genere non sarebbero più possibili. Ma il tema di fondo, che ha accompagnato i referendum dai tempi della Costituente a oggi, è rimasto attuale: può il volere del popolo opporsi o condizionare quello del Parlamento? Fu esattamente di questo che discussero i Padri costituenti alla fine del percorso che portò all’approvazione della Carta: nel 1947 democristiani e comunisti erano contrari, in particolare Togliatti che temeva l’ignoranza del “popolo bue” e la difficoltà di mobilitarlo su questioni specifiche.

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