Se la politica sente solo chi urla di più

STEFANO LEPRI

Nessun Paese avanzato ha bloccato i licenziamenti durante la crisi da Covid; salvo per un breve periodo iniziale, l’anno scorso, la Spagna, dove c’è un governo di sinistra. Come ormai è noto, in Italia il blocco non ha impedito che circa mezzo milione di posti di lavoro dipendenti sparisse, soprattutto per mancato rinnovo di contratti precari.

La dice lunga sulla politica italiana il fatto che abbia dimostrato un certo attaccamento al blocco – ora rientrato, pare – anche la Lega, oltre alle forze di sinistra che storicamente sono influenzate dai sindacati, e al M5S. Si conferma che abbiamo davanti partiti deboli, che in mancanza di capacità progettuale propria inseguono i gruppi di interesse più robusti e determinati. Beninteso, le contrapposizioni tipiche del XX secolo sono in parte superate. Molti lavoratori oggi votano a destra. Non stupisce che la destra si preoccupi delle condizioni di una fetta del suo elettorato; la novità è che offre ascolto alla sua componente più organizzata, quella dei «garantiti», dei dipendenti a posto fisso, senza curarsi degli effetti sulle altre. Ormai che è in vista l’uscita dalla recessione da pandemia, e che addirittura in alcune città e in certi settori si parla di posti di lavoro vacanti, la questione dovrebbe sdrammatizzarsi. Non ha senso bloccare le uscite da imprese che non ce la fanno più quando ce ne sono altre pronte a sfruttare, assumendo, le occasioni nuove che si aprono. Casomai si può pensare a offrire impieghi temporanei in lavori utili nell’attesa che si concretizzino gli investimenti del Recovery Plan, come proposto da Pietro Garibaldi su questo giornale la settimana scorsa. Ma abbiamo una politica che vede corto (poco oltre le elezioni amministrative dell’autunno) e riesce ad ascoltare solo chi strilla più forte.

Tanto più spicca quanto fosse assurdo che il Pd, al tempo di Nicola Zingaretti, accusasse la Lega di «neoliberismo» (per i neoliberisti è essenziale non porre vincoli ai licenziamenti). Nell’attuale legislatura tutte le forze politiche più che rivolgersi direttamente ai cittadini hanno cercato consenso dalla somma di minoranze molto determinate, ritenute le uniche capaci di spostare voti. Non importava quindi che i lavoratori anziani interessati a «quota 100» fossero qualche centinaio di migliaia, mentre il costo dei loro pensionamenti anticipati si scarica su milioni di contribuenti; e così via fino ai gestori di stabilimenti balneari. Ora, con il governo Draghi che un progetto collettivo cerca di individuarlo, quelle istanze diventano bandiere all’interno di una maggioranza eterogenea. In alcuni casi, l’effetto può essere dirompente. Il più grave è il fisco, dove la ricerca delle minoranze arrabbiate porta a compiacere gli evasori fiscali (condono delle cartelle e altro) piuttosto che la generalità dei contribuenti.

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