Così il patriarcato impone la sua legge
DACIA MARAINI
Approfittare del caso Saman per inventarsi una guerra fra culture è stupido e non serve che a creare rancori e conflitti. Ogni cultura ha le sue zone oscure, i suoi orrori che cerca di nascondere. Non si può attribuire a una religione o a uno Stato il delitto di una famiglia, un clan, una persona. Per questo è importantissimo che la ben integrata comunità pakistana prenda con chiarezza e decisione le distanze da questo orribile delitto che salta fuori come un fantasma dalle pieghe di una storia lontana. Hanno ragione coloro che ricordano il nostro delitto d’onore che è stato cancellato solo nel 1981. Non ci sono popoli superiori e popoli inferiori. Ci sono nazioni più ricche e più emancipate – non sempre le due cose vanno insieme – ci sono nazioni meno democratiche perché spesso più isolate politicamente, perché rimaste indietro nella storia, perché paralizzate da governi totalitari incapaci di cambiare. Nelle nazioni non democratiche naturalmente è più facile che si mantengano sacche di arcaismo e ingiustizia sociale. La democrazia, anche quando non è del tutto applicata, porta in sé dei semi di libertà che riescono a crescere nonostante le contraddizioni del rapporto fra patriarcato e libertà, fra androcentrismo e nuove volontà femminili.
Libertà di parola, di pensiero, di movimento. Tre libertà essenziali perché cresca la consapevolezza di un popolo. Dove non c’è pluralità di idee, dove lo Stato si identifica con una Chiesa chiusa e autocratica, vegetano le tradizioni più vecchie e superate, si ripetono i rituali dei rapporti di violenza fra gli esseri umani. Il patriarcato vigila e tende a imporre le sue leggi dove non ci sono regole di comportamento segnate in rosso su una Costituzione accettata dalla comunità. Umanamente sono sconvolta dalla freddezza di questo delitto culturale. Come scrittrice tendo a ripetere i gesti di chi accende la nostra immaginazione. Mi chiedo come abbiano convinto Saman a seguire la parte maschile della famiglia verso la morte. È possibile che le abbiano parlato, che l’abbiano rassicurata. Forse la madre si è fatta portatrice di una parola di pace, di garanzia. Possiamo immaginare la ragazza che rientra a casa, emozionata anche se impaurita: i genitori sono sempre genitori e magari ha pensato che per una volta avrebbe potuto fidarsi delle loro parole dolci. Possiamo immaginare che per non destare sospetti, l’abbiano abbracciata affettuosamente. Forse perfino il padre si è adattato a recitare una parte quando la morte violenta della figlia era già stata concordata e decisa da tutta la famiglia. Aveva paura la ragazza coraggiosa? Forse sì, sapeva che il padre, ma soprattutto lo zio, sono feroci conservatori della vecchia tradizione, assertori del matrimonio fra parenti (usanza feudale che serviva – come succedeva anche da noi – per conservare la proprietà della terra) e sapeva che rischiava di essere uccisa, ma forse pensava che non avrebbero osato un gesto così grave e rivoltante.
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