I pm indagati e l’urgenza della riforma
di PIERFRANCESCO DE ROBERTIS
Stavolta non è la solita “guerra tra procure”. La storia repubblicana ne è piena, e alla fine tutte si assomigliano, descrivendo quasi sempre un caleidoscopio di gelosie, inganni, ricatti, personalismi. Tutto molto umano, bassamente umano. Stavolta la decisione dei pm di Brescia di indagare un paio dei pesi massimi della procura più mediatica d’Italia, quella di Milano, con l’accusa di aver occultato prove a discarico degli indagati, è molto di più. Anche perché la decisione dei pm bresciani arriva dopo un paio di giorni in cui il fronte giustizia è stato caldissimo.
Prima le misure cautelari verso il procuratore di Taranto, Carlo Maria Capristo, quello delle inchieste contro le agenzie mondiali di rating o Big Pharma quando operava a Trani, si badi bene, Trani -, poi l’apertura di un fascicolo al Csm sul cambio della gip “garantista” che a Stresa aveva scarcerato due dei tre arrestati per il Mottarone ed era stata “destituita” dal presidente del tribunale. Senza entrare troppo nel merito delle inchieste (siamo alle fasi iniziali, e le accuse devono essere dimostrate) si tratta di decisioni che in un qualche modo paiono descrivere un diverso orientamento di almeno una parte della magistratura sui comportamenti e sui modi di lavorare dei colleghi.
Non vorremmo essere troppo ottimisti, ma pare leggersi un tentativo, una domanda di “terzietà” che non sempre prima era emersa nei ranghi delle toghe stesse. Quasi che fosse scattato una sorta di allarme, magari inconscio, su limiti che in qualche modo essi ritengono superati. I pm di Milano, come pure Capristo, avranno modo di difendersi e magari sapranno dimostrare di aver agito in correttezza, certo è che l’avvio di azioni penali contro personaggi così strutturati, non passano inosservate. Arrivano dopo anni in cui la magistratura e lo stesso Csm hanno visto prevalere lo spirito di corpo, e la maggior parte delle inchieste tra giudici nascevano per stroncarsi a vicenda le carriere.
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