La pandemia e la chiarezza che manca La pandemia e la chiarezza che manca

MASSIMO GIANNINI

Sono un Sì-Vax adulto, convinto e consapevole. Lo sono perché ho fiducia nella scienza. Perché di fronte a ogni prova della vita resto inchiodato alle parole del Galileo di Bertolt Brecht: credo nella ragione e credo nell’uomo, che alla lunga non sa resisterle. Ci credo a maggior ragione adesso, di fronte a una pandemia che la vita ce l’ha stravolta e purtroppo anche tolta. E ci credo a maggior ragione dopo averla sopportata sulla mia pelle, questa pestilenza moderna che vuole risucchiarci dentro un altro Medioevo. Ho sentito lungo i 96 mila chilometri di vene arterie vasi sanguigni avviluppati nel mio corpo di cosa è capace questo agente patogeno, piccolo un decimillesimo del punto che vedrete alla fine di questa frase, eppure capace di mettere in ginocchio il mondo. Ho visto intorno a me, nella luce dolente e opalescente di un reparto di terapia intensiva, come circola, come aggredisce, come uccide.

Ma per tutti questi motivi oggi sono preoccupato. Dobbiamo essere onesti. Soprattutto noi, che combattiamo la superstizione e la strumentalizzazione, l’oscurantismo e il negazionismo, i No-Mask e i No-Vax. La morte di Camilla, diciottenne di Sestri Levante, ci ha colpito al cuore. Era una delle decine di migliaia di ragazzi che erano accorsi entusiasti agli Open Day vaccinali, lanciati dalle regioni e autorizzati dalla struttura Commissariale. Il messaggio era convincente: fate il vaccino, e riprendetevi l’estate, le vacanze e uno scampolo delle libertà perdute in un anno di lockdown. La reazione è stata straordinaria: tantissimi giovani in fila davanti agli hub. In un braccio l’iniezione, in una mano la Costituzione. Camilla se l’è portata via una trombosi, dopo una dose di Astrazeneca.

Non c’è antidoto al dolore dei suoi genitori, che hanno autorizzato la donazione degli organi. La loro figlia soffriva di una piastrinopenia autoimmune: l’inchiesta chiarirà chi ha sbagliato e perché. Ma a parte questo, ora qualche domanda dobbiamo farcela. E soprattutto dobbiamo farla alle autorità sanitarie, agli organismi della farmaco-vigilanza, al commissario straordinario, al ministro della Salute, al premier Draghi. Fino a quando deve durare, questo caos informativo ed emotivo sui cosiddetti vaccini “a vettore virale”? In conferenza stampa Locatelli, Figliuolo e Speranza provano a dare qualche risposta. Ma lo dico con amarezza: non ci siamo. Se non ci sono nuovi dati sugli effetti collaterali, perché ricambia di nuovo l’intero il piano vaccinale? Se Astrazeneca è un vaccino «sicuro ed efficace», perché se ne muta in continuazione l’utilizzo in base alle fasce d’età? Se invece non lo è, perché non viene vietato a tutti? E ancora: se il Comitato Tecnico Scientifico è un organismo credibile, perché formula semplici «raccomandazioni»? E perché il governo solo adesso sente il bisogno di tradurle «in modo perentorio»? Sappiamo ancora poco su tutto, ma quel poco che sappiamo è che su Astrazeneca abbiamo sentito tutto e il contrario di tutto. Sul fronte europeo, tre mesi fa 275 casi di trombo-embolia in Uk producono il primo stop alle somministrazioni. L’11 marzo sospendono Danimarca, Norvegia e Islanda. Il 15 si aggiunge l’Austria. Il 16 arrivano anche Germania, Francia, Italia, Spagna, e a ruota quasi tutta l’Unione: Bulgaria, Cipro, Estonia, Grecia, Irlanda, Lettonia, Lituania, Malta, Paesi Bassi, Polonia, Svezia. Il 18 marzo la direttrice generale dell’Ema, Emer Cook, annuncia tre cose: 1) c’è un nesso di causalità tra i decessi e l’inoculazione; 2) i benefici dell’immunizzazione superano i rischi di reazione avversa; 3) ogni Stato si regoli come crede. Comprensibili le prime due. Incomprensibile la terza. Quando è in gioco la tutela della vita umana, un’autorità comunitaria può lavare pilatescamente le sue mani e lasciare libere quelle di ogni singola nazione?

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