Per scongiurare un autunno di varianti c’è una sola via
A metà marzo veniva sospesa per pochi giorni la somministrazione del vaccino di AstraZeneca, in Italia e nel resto d’Europa, a causa della segnalazione di alcuni eventi avversi sospetti. Il collegamento tra le trombosi rare e i vaccini era ancora indiziario, ma si è rafforzato nei mesi a seguire. Tanto che, nel verbale del 9 giugno, il Comitato tecnico scientifico descrive tali eventi come «cronologicamente e, verosimilmente, anche eziologicamente, collegati alla somministrazione di questo tipo di vaccino». La tortuosità della frase e la proliferazione di avverbi sono sintomatiche della delicatezza dell’argomento trattato.
In quei giorni di marzo, all’inizio del tormentato affaire AstraZeneca, la reazione maggioritaria alla sospensione era stata di veemente disappunto: ma come! Rallentare le vaccinazioni per una manciata di effetti collaterali! E nel mezzo di una pandemia di queste proporzioni! Va ricordato che avevamo allora circa ventimila nuovi casi al giorno, decessi proporzionali e una stanchezza accumulata quasi insopportabile. Si è iniziato così a parlare del rapporto costi-benefici, che appariva (e appare tuttora) schiacciante a favore della vaccinazione. In molti propagandavano l’idea di vaccinare «fermando la gente per strada», a casaccio, purché si facesse il più in fretta possibile. La pressione mediatica era molto alta. Tanto alta da avere con ogni probabilità influito sulla scelta, infine, di non vietare l’uso di AstraZeneca sotto una certa soglia di età, come deciso da altri paesi, ma di sconsigliarlo soltanto. Aprendo così l’ennesimo spazio di discrezionalità alle regioni, nel quale sono poi fioriti gli open-day anche per i molto giovani.
In realtà, prendendo sul serio il rapporto costi-benefici così come si presentava già a marzo, e spacchettandolo opportunamente rispetto alle fasce di età, era già visibile come, soprattutto per i molto giovani – e ancora di più le molto giovani –, l’idea di vaccinare a occhi chiusi e a tutto spiano non fosse affatto ovvia. Infatti, se in una situazione di circolazione virale elevata, i rischi pur molto remoti riferiti ad AstraZeneca erano minori di quello di sviluppare una malattia grave, si trattava comunque di grandezze confrontabili. Alcuni l’hanno sottolineato, ma non è stato sufficiente. Ancora una volta, per avventatezza, si è preso atto della statistica, ma senza crederle fino in fondo. Non si è creduto che a un certo punto ogni statistica diventa reale, e quei pochi o anche pochissimi «casi su» assumono dolorosamente un volto, un nome e un cognome.
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