Anagrafe dei tacchini M5s

Anagrafe dei tacchini

Come dei capponi invitati al pranzo di Natale, tutti i generali e i colonnelli del Movimento 5 stelle saranno invitati a lavorare alacremente al proprio funerale politico nella costruzione del nuovo Movimento 5 stelle di Giuseppe Conte. La strada è lunga, di ripensamenti, correzioni, inversioni a U è lastricata la storia M5s almeno tanto quanto lo è stata di buone intenzioni, ma se il veto di Beppe Grillo sulla deroga dei due mandati non cadesse un’intera classe dirigente verrebbe spazzata via.

È del tutto comprensibile che l’ex premier rimandi lo scioglimento del nodo a chissà quando. Il perché lo spiega bene Stefano Patuanelli intervistato da La Stampa: “Tutti i portavoce sono in conflitto di interesse”. Scegliere in un senso oppure nell’altro significa per Conte inimicarsi metà del partito, con le conseguenze immaginabili, non ultima la forte contrazione degli incassi del partito (da aprile gli eletti sono tenuti a versare 1000 euro), le cui casse al momento piangono.

Ma incombe la spada di Damocle di Grillo, e l’ombra della mannaia sta già facendo sobollire i gruppi, in rivolta di fronte alla prospettiva di lavorare di fatto alla propria defenestrazione.

È paradossalmente proprio Patuanelli uno dei pochissimi che sfuggirebbe al taglio, in virtù della sua consiliatura al comune di Trieste prima dell’approdo al Senato nel 2018, in virtù della formidabile invenzione del “mandato zero”, la deroga che mette al riparo chi è stato eletto nelle città, la stessa su cui ha fatto leva Virginia Raggi per forzare la propria candidatura per un bis al Campidoglio. Con il ministro dell’Agricoltura si salverebbe ben poco delle figure apicali del Movimento. Avrebbe agio Ettore Licheri, presidente dei senatori, non il suo predecessore Gianluca Perilli, alle spalle un giro di giostra alla regione Lazio. Con loro, ovviamente, supererebbe il taglio Alessandro Di Battista, da sempre fermo sostenitore del tetto dei due mandati, che dal Sudamerica ieri ha lanciato i propri strali contro i colleghi che peroravano la causa della “salvaguardia delle competenze”.

Dietro di loro, il nulla. Verrebbe decapitata l’intera compagine ministeriale. Fuori Luigi Di Maio, che a 36 anni dovrebbe dire addio alla propria carriera politica, fuori Fabiana Dadone, fuori Federico D’Incà. Sono tutti “ragazzi meravigliosi”, così il fondatore definì la classe 2013, i primi sbarcati tra Camera e Senato, verso i quali, chi più e chi meno, oggi registra per lo più insofferenza, ritenendoli schiacciati sul Palazzo, caduti in quel professionismo della politica che è sempre stato considerato alla stregua di una mala pianta da estirpare e che per il garante ormai da tempo infesta il suo giardino.

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