Anagrafe dei tacchini M5s

Dopo aver rifiutato la candidatura a sindaco, Roberto Fico dovrebbe forzosamente tornare nella sua Napoli. Con lui tutti i vertici parlamentari. Out le due vicepresidenti, Maria Edera Spadoni a Montecitorio e Paola Taverna a Palazzo Madama, fine dei giochi anche per il capogruppo alla Camera Davide Crippa e per il suo predecessore Francesco D’Uva, oggi questore, che verrebbe accomunato nella sorte al questore del Senato, Laura Bottici, anche lei alla seconda legislatura.

Il taglio sarebbe implacabile anche con le figure che hanno acquistato peso e notorietà durante gli i mesi del Conte 2. Fine dei giochi per Alfonso Bonafede, giù dalla giostra Nunzia Catalfo a cui si deve il reddito di cittadinanza, fuori l’ex sottosegretario Stefano Buffagni, un precedente in Lombardia prima di trasferirsi armi e bagagli, si salverebbero i soli Vincenzo Spadafora e Lucia Azzolina.

Nulla da fare anche per Vito Crimi, già al ministero dell’Interno, il reggente ha due mandati alle spalle, iniziate con il primo incarico da capogruppo (nella scorsa legislatura ruotavano ogni tre mesi), così come la collega Roberta Lombardi, oggi in consiglio regionale nel Lazio. Carlo Sibilia, che il posto al Viminale lo ha conservato anche con Draghi, dovrebbe cedere il passo, con lui Manlio Di Stefano, che ricopre lo stesso incarico ma al ministero degli Esteri, con lui Laura Castelli, che da Torino è arrivata in Parlamento 8 anni fa e Giancarlo Cancelleri, sottosegretario alle Infrastrutture, mai eletto a Roma ma con due mandati alle spalle da onorevole dell’assemblea siciliana, l’ultimo dei quali interrotto proprio per la chiamata al governo (altro tabù, quello del completamento dei mandati elettivi, andato in frantumi proprio con il suo caso).

Un repulisti più che un ricambio, auspicato da Grillo in funzione del rinnovamento, per togliere incrostazioni e rendite al futuro partito di Conte, che pur con questi qui sarà costretto a fare i conti almeno fino alle prossime elezioni. “Siete morti!”, urlava con garbo il fondatore ai giornalisti che incontrava per la sua strada. Un grido sinistro la cui eco rimbalza oggi negli uffici dei pentastellati di Palazzo.

L’HUFFPOST

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