La variante Delta del Covid indebolisce l’efficacia dei vaccini?

di Silvia Turin

La variante Delta, B.1.617.2 (precedentemente chiamata «indiana»), è nel nostro Paese: l’ultimo report dell’Istituto Superiore di Sanità risalente al 18 maggio parla di una prevalenza dell’1% ed è recente il caso di un focolaio in una palestra di Milano in cui c’è stato almeno un caso sequenziato, quello di un sanitario già vaccinato (con due dosi) contagiato dalla Delta.

In UK il 68 per cento dei casi in persone non vaccinate

A destare preoccupazione è proprio il caso di reinfezione che fa porre una serie di domande sulla Delta: con quale frequenza può causare contagi anche in persone già vaccinate? La variante è in grado di abbassare la protezione data dai vaccini? Le prime risposte a questi interrogativi vengono dal Regno Unito, dove la variante Delta ha ormai soppiantato la variante Alfa (ex «inglese») e costituisce il 96% dei casi, ma soprattutto dove i sequenziamenti dei nuovi positivi sono così numerosi da essere arrivati all’88% del totale, grazie anche a un nuovo test di genotipizzazione che utilizza una mutazione altamente specifica come indicatore della variante Delta. I dati inglesi appena pubblicati dal Ministero della Salute nazionale (PHE) l’11 giugno sono, quindi, particolarmente accurati e parlano di 33.207 casi totali di variante Delta nella settimana, un aumento notevole rispetto ai 9.426 della settimana precedente. Si stima che la capacità di trasmissione della Delta sia maggiore del 64% e che aumenti di 2 volte il rischio di ospedalizzazione, ma in quale tipo di popolazione si sta diffondendo? Il 68% dei casi si sono verificati in persone non vaccinate: l’analisi di una coorte con test molto frequenti, quella del personale sanitario, vede numeri di reinfezione molto bassi (4 nell’ultima settimana). Una forte concentrazione di positivi è anche nei giovani tra i 10 e i 29 anni. Pochissimi (meno del 5%) casi riguardano persone di età pari o superiore a 60 anni. Ciò si allinea con la copertura vaccinale a 2 dosi per il Regno Unito. Anche nel Paese che ha iniziato per primo la campagna vaccinale, infatti, ci sono circa 2 milioni di ultracinquantenni che non sono vaccinati, 13 milioni di giovani adulti non vaccinati e altri 8 milioni di giovani adulti parzialmente vaccinati.

Ospedalizzazioni e decessi

L’altro tema fondamentale è se i vaccini in uso siano ancora in grado di offrire protezione in caso di contagio con questa variante. Nel Regno Unito, mentre il tasso di aumento dei casi è forte come lo scorso autunno, le metriche ospedaliere stanno salendo più lentamente. I ricoveri ci sono, ma stanno aumentando rapidamente tra i giovani adulti (età 25-44) e quasi per nulla tra i più anziani. Tra i casi dell’ultima settimana il 3,7% è andato in Pronto Soccorso, i ricoverati sono stati l’1,2% e i morti lo 0,1 per cento (42 persone). Tra i vaccinati i ricoveri sono stati dell’11% e il 29% dei decessi erano tra persone vaccinate. Non conosciamo il profilo personale di queste persone, che è molto importante per analizzare questi casi ma possiamo dire che, anche se il numero di morti vaccinati sembra grande, normalmente questo gruppo di persone avrebbe rappresentato circa l’85% dei decessi e questo suggerisce che i vaccini stanno funzionando anche contro la variante Delta. Da alcuni calcoli sui tassi di mortalità ospedaliera specifici per età nell’epidemia inglese si calcola che il legame tra ricovero e morte questa volta sarà minore di circa un terzo.

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