Luigi Di Maio: “Ecco il nuovo M5S che parla alle imprese e difende il ceto medio”
ANDREA MALAGUTI
Ci fu un tempo in cui decrittare i 5 Stelle era piuttosto agevole. «Che pensate, ragazzi?». «Vaffanculo». «Volentieri, grazie». Certo, lo si poteva considerare un messaggio leggermente generico e poco sofisticato, ma era difficile discuterne l’efficacia. Il Palazzo non ci piace. Lo radiamo al suolo e lo facciamo occupare dalla gente comune (qualunque cosa voglia dire) che certamente è meglio dell’orrida casta (qualunque cosa voglia dire). Adesso il Palazzo piace parecchio, ma per capire dove vada quel che resta del Movimento serve la stele di Rosetta del democristianismo-forlaniano 4.0. I due leader di fatto sono maestri naturali del centrismo ultraflessibile, integrato dai prodigi opachi della democrazia da tastiera. E mentre il fu Avvocato del Popolo Giuseppe Conte dà la caccia alla complicata consacrazione girando di un grado la testa a sinistra, il ministro degli esteri Luigi Di Maio, più incline a muoverla di un grado a destra, in questa intervista, racconta l’ultima sorprendente trasformazione del Nuovo in Cerca d’Autore.
Ministro Di Maio esiste ancora il Movimento 5 Stelle?
«Prendo la domanda come una provocazione». (ride) Lo è fino a un certo punto.
«Allora le dico seriamente che siamo l’unica forza politica che ha fatto parte degli ultimi tre governi, contribuendo in modo significativo a ottenere i risultati che cominciamo a vedere. Penso alla gestione della pandemia, alle proiezioni di crescita economica al 4% o ai dati record sull’export. Penso anche alla capacità di mettere al centro dell’agenda Draghi il tema della transizione ecologica di cui in questi giorni si è discusso al G7 e di cui si discuterà ancora al G20 di Napoli».
Conte I con Salvini, Conte II con Zingaretti, Draghi I con l’avanti-tutti. Siete un abito buono per qualunque stagione.
«Siamo cambiati senza mai rinunciare a noi stessi, soprattutto ai nostri valori. Rappresentiamo quella parte del Paese che ha più bisogno del cambiamento, il ceto medio che paga le tasse, che non si tira mai indietro e che porta ogni giorno sulle spalle il peso della collettività. Noi parliamo a loro e lo faremo ancora a lungo».
Dieci anni fa volevate radere il Palazzo al suolo.
«Lei ovviamente esagera, ma avere acquisito una cultura di governo significa farsi carico delle responsabilità, non prenderne le distanze. Per ottenere risultati utili ai cittadini servono nobili mediazioni».
Nobili?
«Esatto. Non al ribasso».
Comunque mediazioni.
«Sì. Dieci anni fa era una parolaccia. Oggi non più. I cittadini vedono che il centrodestra è diventato destra e non è più in grado di combattere le loro battaglie. Noi vogliamo tutelare le imprese, le professioni dimenticate, le partite Iva. E crediamo nella riforma fiscale e in quella della giustizia. Tutti temi che non possono essere affrontati in modo ideologico».
Democristiani, appunto.
«No. Siamo anche noi figli di quel ceto medio che paga le tasse per tutti e di cui non si occupa più nessuno».
Le piace il nome “5 Stelle ConTe”?
«Parlo con Conte continuamente e non mi risulta che ci sia in cantiere il cambio di nome. Mi risulta invece che ci sia in atto un tentativo per fare finalmente del Movimento una forza responsabile, organizzata e ragionevole. Uniti possiamo raggiungere l’obiettivo».
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