Diliberto ha portato Giustiniano in Cina: “Ora hanno un codice civile”

Diliberto ha portato Giustiniano in Cina:

La Cina è vicina per Oliviero Diliberto, che da qualche anno oltre a insegnare Diritto Romano alla Sapienza ha anche una cattedra all’Università Zhongnan of Economics and Law di Wuhan. Proprio lì: “Sarei dovuto partire proprio a febbraio del 2020, ma c’era il Capodanno cinese, altrimenti sarei rimasto lì. Ma ho fatto lezioni a distanza”. Entri nella sua casa-studio nel quartiere Prati e hai la sensazione di un salto nel tempo e nel mondo. Libri ovunque, classificati con cura, nemmeno uno poggiato lì per caso, sul tavolino o su un bracciolo della poltrona. Solo una parete libera dedicata alla foto con Sergio Mattarella e a quella con Xi Jinping, i due “presidenti”.

Ecco, la Cina. Esercita sempre un certo fascino sui comunisti (e per fortuna se ne trovano ancora in giro di non pentiti): “Il Covid lo hanno sconfitto con la disciplina orientale. Li avresti dovuti vedere migliaia di studenti, chiuse nelle stanzette senza mai uscire, con l’organizzazione che portava loro da mangiare tre volte al giorno”. L’immancabile toscano acceso, vecchio vezzo e vecchio vizio, l’occasione della chiacchierata è un “cambiamento epocale”. E cioè l’entrata in vigore del primo codice civile in Cina, impresa, di cui l’ex segretario dei Comunisti italiani, ex guardasigilli del ministro D’Alema, è stato protagonista: sette libri, oltre 1200 articoli, per normare una materia vasta, successioni, contratti, diritti individuali, privacy. E ora è appena stata pubblicata la traduzione (Edizioni Pacini Giuridica, di Pisa, 24 euro), curata da una sua allieva cinese, la professoressa Huang Meiling: “In realtà – dice – il codice se lo sono scritto da soli, noi abbiamo contribuito a formare una classe di giuristi per redigere questo lavoro, e io sono orgoglioso di aver contribuito a formare giuristi che oggi sono tra i migliori in Cina”.

Come è iniziato questo lavoro?

È iniziato nel 1988, per una serie di casualità. Il decano dei giuristi cinesi Jiang Ping, preside della facoltà giuridica di Pechino, viene a Roma per un convegno invitato un collega, adesso in pensione, che insegnava diritto romano, Sandro Schipani. Jiang ha studiato in Russia, quindi ha studiato il diritto romano. E i due hanno l’intuizione geniale. Siamo nell’88: il muro di Berlino non era ancora caduto ed è prima di Tienanmen. L’idea è: poiché la Cina è avviata sulla via delle riforme economiche, serve un codice civile. E si mettono d’accordo per tradurre in cinese i testi del diritto romano e in particolare il Corpus Iuris di Giustiniano, la fonte di tutto. Per tutti gli anni Novanta vengono tradotte le fonti giuridiche romane. Per cui alla fine degli anni Novanta, quando il gruppo dirigente cinese decide quale modello giuridico adottare, se Common Law o Civil Law, ha la possibilità di accedere linguisticamente al diritto romano, perché è in cinese. 

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