Quel vento di libertà che non si può ignorare

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Augusto Minzolini

Due giorni fa ci ha lasciato Livio Caputo, una delle firme storiche del Giornale da quando fu fondato da Montanelli. Livio ha diretto in queste settimane la testata dal letto di morte, dimostrando quell’attaccamento al mestiere proprio di un grande professionista, di quelli che non esistono più. Tutto ciò per dire che il mestiere del giornalista nella sua interpretazione migliore può essere intrapreso, svolto, coniugato con una sola parola: passione. È un mestiere che ti prende la vita e a cui dedichi una vita. Una vocazione, insomma, una missione.

Per cui è un paradosso che nell’epoca dell’Informazione, mentre l’intero pianeta si regge sulla circolazione delle notizie sul web, sulle tv, sugli smartphone, sistema essenziale per la salvaguardia della democrazia dove c’è (o per esigerla dove non c’è), motore indispensabile per lo sviluppo dell’economia, i giornali siano in crisi. Una triste realtà. Magari perché si tratta di strumenti obsoleti, ma non credo. Magari perché sono fatti male, forse. Magari ipotesi più probabile – perché non sono più capaci di ascoltare e comunicare con i lettori, obnubilati da vecchie e nuove ideologie, da un «politically correct» asfissiante che ha fatto il suo tempo, da troppi falsi totem.

La verità è che il giornalismo spesso si parla addosso. E a volte nella sua autoreferenzialità ignora la realtà. Eppure basterebbe rifarsi all’antico motto, che recitava: «La notizia prima di tutto». Invece, la notizia talvolta viene «mediata», «piegata» a fini di parte, o, peggio, «ignorata». È quello che avviene nei regimi conclamati, in quelli nascosti, e in quelli che hanno una natura tutta particolare, cioè quelli «mediatici» o, peggio ancora, mediatico-giudiziari, quelli che trasformano l’informazione in un coro che esulta sotto il patibolo o la ghigliottina di turno. Una parolaccia per qualsiasi liberale. Un insulto per Il Giornale che ha scolpita sotto la testata la frase «dal 1974 contro il coro».

E così continuerà ad essere, senza se e senza ma. Anche perché mai come ora la cultura «liberale» anima l’opinione pubblica. Saranno state le chiusure del lockdown, la voglia di risorgere, di reagire, nell’economia e nella società, sta di fatto che nel vecchio continente spira un vento di libertà quando i cittadini sono chiamati a dire la loro: dalla Madrid di Isabel Diaz Ayuso alla Sassonia della Cdu. Anche il Belpaese ne ha un incontenibile bisogno. Il colore viene dopo.

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