Quel vento di libertà che non si può ignorare

È una condizione dell’anima che incoraggia gli individui a rischiare, a mettersi in gioco come negli anni della Ricostruzione del secondo dopoguerra. La politica e i media non possono ignorare quel vento, pagherebbero il fio di essere a loro volta ignorati. Il che tradotto significa una burocrazia efficiente, un fisco non opprimente, una solidarietà che non si traduca in un assistenzialismo fine a se stesso. E ancora, libertà significa pure avere alleati che perseguano gli stessi principi e salvaguardino gli stessi diritti, a cominciare dalle democrazie occidentali. Ed anche interlocutori che rispettino gli stessi standard igienico-sanitari e non nascondano verità inconfessabili. Il Covid-19 è un monito per il futuro. Per cui è finita la stagione dei Marco Polo nostrani, che per qualche interesse più o meno nascosto, non portano l’Italia in Cina, ma semmai fanno il percorso opposto, importando la Cina in Italia.

Da ultimo la condizione pregiudiziale per risorgere: c’è bisogno di una giustizia giusta, che dia fiducia, che non terrorizzi ma che garantisca il cittadino. Che non sia uno strumento di parte, politico, per colpire l’avversario, come raccontano le ultime rivelazioni e testimoniano gli ultimi fatti, ma che salvaguardi i diritti di tutti. Un obiettivo da ottenere ad ogni costo, se non basta la via parlamentare, anche attraverso i referendum: perché no? È l’ottica in cui questo Giornale darà il suo contributo, innanzitutto verso le culture che gli sono più affini, di un centro che guarda verso la destra. Confrontandosi, però anche, all’insegna del pragmatismo e del dialogo, con chi ha opinioni diverse. Sempre nel rispetto, ma senza nutrire paure o timori.

P.s. Appunto, rispetto. A Marco Travaglio, che millanta una discendenza diretta da Montanelli e sprizza veleno da tutti i pori perché da mesi fa a botte con la notizia che Giuseppe Conte non è più a Palazzo Chigi, si attaglia un giudizio che il grande Indro dedicò ad un giornalista ben più degno di lui: «Conosco molti furfanti che non fanno i moralisti, ma non conosco nessun moralista che non sia un furfante». Ad una tale patacca del giornalismo nostrano (non ricordo scoop del personaggio a parte le «carte» di qualche Pm amico), che si diletta a leggere il casellario giudiziario tranne il lungo capitolo dedicato a lui alla voce «diffamazione», non dedicherò più una parola.

IL GIORNALE

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