Non privatevi di un giorno felice
Enzo Bianchi
Desiderare è voce del lessico astronomico e il suo significato è lo stare lontano (de) dalle stelle (sidera). E chi sta lontano dalle stelle le desidera, le ricerca, le vuole vedere e quindi vuole stare con loro. Gli umani che sono sotto le stelle, vivono di desiderio, si protendono verso di esse, sono esseri desideranti…
Tutti noi facciamo l’esperienza del desiderio, un sentimento che ci abita come una pulsione, una tensione, una forza. Il desiderio è certamente un sentimento personale, intimo, che scaturisce dal profondo di un uomo e di una donna che però non ne sono mai padroni assoluti.
In ciascuno di noi non è il mio io a desiderare ma è il desiderio che desidera con forza al di là del nostro io. Siamo abitati dal desiderio, posseduti dal desiderio e questa esperienza ci fa dire che il desiderio ci può dominare, alienare, trascinare via. Ecco perché dobbiamo coglierci come «desideranti». Cosa c’è alla radice di tutti i desideri umani? C’è la nostra indigenza, la nostra condizione di bisogno, di mancanza di vita piena, la nostra limitatezza.
Resta profondamente veritiero nell’esperienza del desiderio il dover operare un discernimento sul desiderio al suo sorgere: infatti il desiderio è sentimento complesso, polifonico. Può essere desiderio di cose buone, dunque desiderio buono, e può essere desiderio di cose cattive, dunque desiderio cattivo.
Il desiderio può diventare bramosia, voracità, fame, concupiscenza in un linguaggio etico-cristiano. Nelle tradizioni religiose il desiderio sovente è visto con diffidenza, e non a caso il più grande consiglio della saggezza buddista indica la necessità di spegnere ogni desiderio. Nella tradizione giudaica e cristiana non c’è una posizione negativa verso questo sentimento e tuttavia resta significativo che nelle dieci parole date da Dio a Mosè sul Sinai due volte ritorni il divieto «Non desidererai…» (in Es 20 e Dt 5).
Per due volte è richiesto autorevolmente di annientare il desiderio che può sorgere nel cuore degli umani: il desiderio della donna già appartenente al prossimo e la brama della roba in possesso o proprietà del prossimo. Il verbo ebraico chamad qui usato non rimanda a una sollecitazione superficiale, un vago desiderio, ma a un desiderio cui aderisce la volontà, un desiderio che si trasforma in azione. Brama efficace! Allora c’è un giudizio negativo per questo desiderio che è una pulsione che procede dal cuore, dall’anima. «Ciascuno è tentato dal proprio desiderio che lo attrae e lo seduce. Il desiderio poi concepisce e genera il delitto e il delitto una volta commesso genera la morte» (Gc 1,14).
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