Draghi e lo strappo con Speranza: “Sbagliato imporre il mix di vaccini”
ILARIO LOMBARDO
ROMA. «Ora è stato chiarito tutto». Era il 13 giugno scorso e così Mario Draghi, al termine del G7 della Cornovaglia, si diceva certo che dopo il pronunciamento del ministro della Salute Roberto Speranza la campagna vaccinale sarebbe continuata spedita. Quel giorno Speranza aveva sancito l’obbligatorietà del mix di vaccini, una soluzione che l’Italia imparerà subito a conoscere come «eterologa»: chi fino a 60 anni aveva fatto la prima dose con AstraZeneca avrebbe dovuto fare la seconda inoculazione con Moderna o Pfizer.
Appena una settimana dopo questa perentorietà viene smontata. Draghi è costretto a rimangiarsi quello che aveva detto. Non tutto, dunque, era stato chiarito. È facile intuire l’irritazione che il premier fatica a trattenere durante la conferenza stampa convocata in fretta e senza preavviso, venerdì, di ritorno da Barcellona. Ma cosa c’è dietro, e verso chi rivolge la sua ira, è questo che va ricostruito. E tutti gli indizi sembrano portare al ministro Speranza, con cui era andato in rotta di collisione anche riguardo alla necessità o meno di prorogare lo stato di emergenza. Non dà colpe a nessuno esplicitamente, l’ex banchiere, ma ammette per la prima volta la «confusione», senza optare per un termine più edulcorato. Ce l’ha con la confusione delle autorità sanitarie, da una parte il ministero che impone l’obbligo dell’eterologa, dall’altra l’agenzia del farmaco, l’Aifa, che sarebbe più prudente.
A Draghi è evidente un’ovvietà: è l’intero governo, e quindi anche lui, a poter essere travolto da decisioni prese e rimesse in discussione magari il giorno dopo. Proprio questo giornale gli aveva chiesto al castello di Tregenna, a Carbis bay, una parola di chiarezza e di individuare le responsabilità politiche dell’enorme pasticcio che si viveva in Italia: gli open day aperti a tutti, nonostante le raccomandazioni del Comitato tecnico-scientifico di non inocularlo sotto i 60 anni. La morte della diciottenne ligure Camilla scatena una reazione emotiva nell’opinione pubblica che si riverbera subito nella politica e sulle decisioni delle autorità pubbliche. A fine G7 Draghi risponde che è «sempre complicato ricostruire le responsabilità politiche», di una situazione che è in evoluzione. Aggiunge che le indicazioni del Cts erano chiare e «invece i vaccini sono stati usati per tutti perché le cause farmaceutiche non mettono un limite nel loro foglietto illustrativo». Draghi era convinto – o almeno appariva tale – che il caos sull’opportunità di inoculare AstraZeneca durante gli open day, anche sotto i 60 anni, sarebbe rientrato facilmente dopo la decisione di Speranza. Così non è stato. Sette giorni dopo, di quelle parole resta solo l’eco amara della smentita. A Draghi non piace sbagliarsi. Chi lo conosce lo sa. Si fida di coloro a cui delega il compito di prendere le decisioni: dal Cts al ministro della Salute, allo staff incaricato della comunicazione. Negli ultimi giorni è successo di tutto. Prima la Campania e subito dopo il Lazio – dove un cittadino su dieci che deve fare il richiamo non vuole cambiare vaccino – si ribellano al diktat di Speranza. Al premier mostrano i dati di un crollo improvviso delle somministrazioni, probabilmente provocato da queste incertezze comunicative. Con la variante Delta del virus che si diffonde con più facilità, se la campagna vaccinale si impantanasse sulla seconda dose le conseguenze sarebbero disastrose. È per questo che il premier strappa con la sua consuetudine di non convocare mai all’ultimo, e d’urgenza, una conferenza stampa per non dare l’impressione dell’emergenza.
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