Alessandro Sallusti e lo stato d’emergenza: “Pieni poteri, pieni doveri”, perché Draghi è nel giusto
A poche settimane dalla scadenza, si scalda la polemica per il rinnovo dei pieni poteri al premier sulla gestione dell’emergenza Covid; quei pieni poteri che Conte si era dato all’inizio della pandemia per accelerare – senza passare le forche caudine di governo e Parlamento – le decisioni più urgenti. Molti amici liberali so che già storcono il naso: basta, Draghi o non Draghi il potere torni nei suoi luoghi naturali, anche a costo di perdere efficienza e tempestività. Io, che pure liberale sono, sarei più cauto e meno dogmatico e anche a Conte ho sempre contestato non l’abuso di potere bensì il suo cattivo utilizzo. È vero che i famosi Dpcm, i decreti firmati in solitudine dal Presidente del Consiglio, sono forzature delle regole democratiche ma è altresì vero che sono previsti dalla Costituzione e che le azioni del premier rimangono comunque sotto il controllo della maggioranza e del Parlamento, che in ogni momento può sfiduciarlo.
Per di più, ci muoviamo su un terreno, quello scientifico-sanitario, sul quale la competenza dei politici è di fatto pari a zero. Che ne sanno senatori e deputati di qual è il momento giusto per togliere la mascherina o di quanto sia pericoloso mixare i vaccini? Su questi temi non ha senso un dibattito tra libere opinioni, la scelta va presa dal responsabile in capo, sentiti gli esperti. Perciò non ritengo che sia un colpo di Stato prolungare i pieni poteri del premier. Tempi e riti della democrazia sono incompatibili con la rapidità d’azione che la situazione richiede sia nel limitare alcune libertà sia nello sbloccarle cessato l’allarme. Un amico esperto mi ha obiettato: basterebbe all’occorrenza convocare un consiglio dei ministri straordinario e il risultato sarebbe identico
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