Quei gazebo per apparati senza popolo
Marcello Sorgi
Primarie d’apparati. Attenzione al plurale, che non cambia, tuttavia, le ragioni della crisi di questo sistema di scelta dei candidati, importato dagli Usa quasi sedici anni fa dal centrosinistra e riadattato, come tutto, al classico “mood” italiano. Ha detto bene Prodi, il primo a sperimentare sulla sua pelle il meccanismo della candidatura e poi della premiership votati dal popolo: «Deve scorrere il sangue». Nel senso che si deve avere il coraggio di competere, senza finzioni, senza eccesso di richiami retorici all’unità, e dopo essersi divisi si deve tornare tutti insieme a sostenere il candidato vincitore. Ma in Italia è andata diversamente.
Pur essendo le primarie un tentativo di coinvolgere i cittadini, e non solo gli iscritti, in decisioni importanti, prima, al momento della sperimentazione, sono affiorate resistenze perché l’allargamento della platea avrebbe limitato il diritto (e il potere) dei gruppi dirigenti di scegliere con chi correre. Meglio i tavoloni con sedici o più membri delle coalizioni, che non i sedicimila gazebi sparsi sul territorio nazionale: ed è quanto dire. Poi, quando il centrosinistra è finito quasi tutto in un partito, anche questa polemica ha fatto il suo tempo e s’è trovato, appunto, un metodo a metà strada: candidati d’apparato, come Gualtieri o Lepore (non ce ne vogliano), ex-ministri, assessori, dirigenti con lunga militanza alle spalle, messi di fronte al popolo come per un referendum. Il risultato è stato che l’affluenza ai gazebo, scontando anche la fine della novità, ha cominciato a scendere: fino agli 11 mila di Torino di due settimane fa, e ai 40 mila di Roma di ieri, dove tra l’altro si votava anche per le primarie dei municipi, e questo avrebbe dovuto garantire una più forte mobilitazione.
Per essere una «festa della democrazia e della partecipazione», come l’ha definita Letta, le manca qualcosa. A votare non va che una parte ridotta degli elettori che poi si recano alle urne per le vere elezioni. In compenso è più forte la campagna degli apparati. Questo spiega la vittoria, scontata a Roma, di Gualtieri, il candidato dell’apparato numero uno, quello del Pd. E il significato assai relativo dei piazzamenti degli altri: utili in sostanza solo a determinare percentuali che poi saranno fatte valere tra il primo e il secondo turno, per determinare le richieste di assessorati nell’eventuale composizione della giunta in caso di vittoria e di conquista, o riconquista, del Campidoglio.
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