Primarie e predellino, una domenica di revival

È stata una bellissima domenica di quindici anni fa. Le primarie del Pd e il nuovo predellino del nuovo Pdl, come guardare la replica di Italia-Germania 2006: «Stringiamoci forte, Beppe» gridava Caressa a Bergomi nell’estate in cui saremmo diventati campioni del mondo. Ma intanto Caressa e Bergomi ieri stavano commentando in diretta Italia-Galles. È stata una bellissima domenica nella quale Silvio Berlusconi s’è collegato con la convention di Forza Italia per ricordare la lucida follia della discesa in campo del 1994 e, ancora più indietro, a spolverare la gloria, l’edilizia di periferia col giardinetto incorporato che fu l’abbrivio della sua fortuna, il mondo sberluccicante di Mediaset, il Milan squadra più titolata al mondo. Io ho trasformato i sogni in realtà, diceva, e dunque sarò io a ridurre le tasse, sarò io a riformare la giustizia, sarò io ad avviare la rivoluzione liberale, tutti i sogni del Berlusconi politico distrutti dalla realtà, ma che problema c’è? Era una bellissima domenica di quindici anni fa.

Era il 2007 quando il sire di Forza Italia salì sul predellino ad annunciare il partito unico, ed era il sintomo dell’affanno, poiché fu una risposta al Partito democratico, matrimonio di ex comunisti ed ex democristiani. L’innovatore inseguiva le innovazioni altrui. Ma perlomeno fu tellurico, oggi è un tremolio, Giorgia Meloni nemmeno risponde, Matteo Salvini fa i suoi calcoli e del resto che altro è se non l’ipotesi di mutuo soccorso fra due leader, Berlusconi bramoso di un altro morso di potere, il leghista di una legittimazione come uomo di governo (e magari di sommare i suoi voti a quelli forzisti per riscavalcare F.lli d’Italia nei sondaggi)? Il grande programma è secondario e infatti coincide con l’amarcord: tre aliquote di Irpef, la separazione delle carriere, la forza liberale. Nemmeno un jingle di Augusto Martelli è durato tanto a lungo.

Intanto il Pd si crogiolava nella sua festa di democrazia, nel suo abito liso, come a ogni tornata a tirare sui numeri, per felicitarsi dei votanti che sono di meno ma non così di meno, soprattutto a cercare un ventenne che sia uno da fotografare e postare sui social. Sarebbe pure un rito di qualche affascinante garbo se fosse meno rapsodico (a Roma sì a Napoli no, perché?), meno autoreferenziale, se non fosse la base programmatica di un dibattito pubblico guidato dai trend topic, cioè dalla minchiata del giorno su cui si azzuffano le armate da tastiera. Se non fosse, in definitiva, la promessa non mantenuta di un partito contemporaneo: mentre Berlusconi regna nell’analogico, il Pd del digitale ha scoperto soltanto la sala giochi. Ma ormai siamo nel cuore del ventunesimo secolo e il digitale, in assenza di politica, ha rivoluzionato il rapporto fra capitale e lavoro (parole di Maurizio Landini), ha centuplicato le ricchezze dei ricchi, ha creato nuovi schiavi, aggira con un oplà tutele sindacali e sistemi fiscali novecenteschi.

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