Dal silicio al rame, prezzi alle stelle. La guerra delle materie spaventa le imprese: “Costrette a fermarci”
GIULIANO BALESTRERI CLAUDIA LUISE
La prima crisi delle terre rare risale a dieci anni fa, quando tra il 2011 e il 2012 il prezzo del neodimio passò da 100 a 700 dollari al chilo. Quello del disprosio da 100 arrivò a duemila dollari. A causare l’esplosione dei prezzi fu la decisione unilaterale della Cina di dimezzare le esportazioni. Oggi la situazione non è così tesa, ma il rischio guerra fredda è dietro l’angolo. Basti pensare che il prezzo del silicio, presente in tutti i componenti elettronici, è aumentato in dodici mesi dell’83%. E anche le terre rare sono ovunque: dai colori dello schermo dello smartphone alla sua vibrazione; dalle batterie per le auto elettriche ai magneti delle pale eoliche. Come a dire che la ripresa economica e la transizione energetica passano attraverso 17 elementi chimici che prendono il nome di terre rare e che pure essendo praticamente sconosciuti, condizionano la nostra vita. Anche perché sono finiti nell’elenco delle materie prime le cui quotazioni sono esplose negli ultimi mesi. Con la differenza che a fare il prezzo delle terre rare non è il mercato, ma la Cina che ne controlla l’80% della produzione. Un’incognita che rischia di zavorrare una ripresa già frenata dalla difficoltà di reperire sul mercato componenti e materiali di ogni: «Mancano anche i ponteggi per l’edilizia» si sfoga Giuseppe Provvisiero, presidente dell’omonima Holding Costruzioni. D’altra parte il petrolio è ai massimi da due anni e in dodici mesi il rame è rincarato del 150% e l’alluminio.
«Le terre rare non sono affatto rare. Per esempio è molto più difficile trovare l’oro che il lantanio, ma il primo è regolato da riserve e accordi internazionali, mentre per l’altro non c’è niente» osserva Andrea Ferrari, head of innovation strategy di Rina Consulting che ha partecipato insieme all’Unione europea – unica società italiana – a uno studio sull’utilizzo delle terre rare: «Sono nei microchip, nelle batterie e sono nei magneti che muovono le pale eoliche. Sono così utilizzati perché compatti e leggeri. Per esempio su una Tesla ci sono circa 50 chili di neodimio». Su un F35 le terre rare arrivano a oltre 400 chilogrammi. Abbastanza perché ogni rialzo dei prezzi faccia sussultare le imprese della difesa e della tecnologia.
Ma il controllo cinese dei minerali ha radici lontane. Nel 1992 l’allora presidente Deng Xiaoping disse che «se il Medio Oriente ha il petrolio, la Cina ha le terre rare». Una profezia a cui pochi hanno dato peso per anni anche perché l’utilizzo dei minerali è stato limitato fino all’inizio del millennio e la loro reperibilità non è mai stata in discussione: Pechino era “magazzino” così efficiente da smantellare tutte le attività estrattive in Occidente. E così, prima di tagliare le esportazioni, nel 2009, la Cina ha estratto il 97% della produzione mondiale.
Pages: 1 2